DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Metti insieme sei persone per un Vertice. Grandi decisioni globali fra giri di tartine

Un gruppo eterogeneo. Che condivide lo stesso stile (se così si può dire): ognuno dei partecipanti è vestito da...

Al Piccolo Teatro la prima volta di Christoph Marthaler «Il vertice» dal 6 maggio allo Strehler

Al Piccolo Teatro la prima volta di Christoph Marthaler «Il vertice» dal 6 maggio allo Strehler

Un gruppo eterogeneo. Che condivide lo stesso stile (se così si può dire): ognuno dei partecipanti è vestito da montagna. Cosa che dovrebbe essere vietata al Piccolo Teatro. Ma nonostante questo, il palcoscenico milanese ha deciso per la prima volta di produrre il maestro Christoph Marthaler. Imperdibile quindi "Il vertice", dal 6 maggio al debutto assoluto allo Strehler. Drammaturgia di Malte Ubenauf. Mentre in scena Liliana Benini, Charlotte Clamens, Raphael Clamer, Federica Fracassi, Lukas Metzenbauer e Graham F. Valentine. Una parodia del potere. Dei grandi summit internazionali. Giocando sul doppiosenso del titolo. E aggiungendovi il consueto sguardo visionario e iconoclasta del regista svizzero. Che qui torna alla parola, per quanto misurata. Senza abbandonare la sua attenzione per il corpo. La musica. Il movimento. "Il progetto è una coproduzione tra il Piccolo, Vidy-Losanna in Svizzera e l’MC93 di Bobigny in Francia – spiega Marthaler –. Da qui è nata l’idea iniziale: una vetta nelle Alpi, tra questi tre Paesi. Perché il titolo in tedesco è Der Gipfel: vertice nel senso di conferenza o di cima in montagna. E curiosamente la stessa cosa vale anche per il francese e l’italiano. Non è la prima occasione in cui realizziamo spettacoli in più lingue. Ma questa volta gli artisti provengono da paesi diversi. E allora la domanda diventa più chiara: stanno insieme o no, si capiscono o no?". Che poi è lo spunto per alimentare di nuovo il sarcasmo del regista svizzero. Feroce nel parodiare il potere e il mondo piccolo-borghese. Non lontano dalla furia sardonica di un Thomas Bernhard. Se non fosse che poi il tratto visionario possiede una dolcezza poetica. Sotto l’ironia. Quasi una forma di speranza. "Sul palco queste sei persone in uno chalet appaiono come degli alpinisti insoliti e un po’ tradizionali – conclude il regista –. Ma poi iniziano a cambiare. Sembra che stiano preparando un congresso, una specie di momento ufficiale, formale. Prima che qualcosa li trattenga...". Si gioca a due passi con l’assurdo. Eppure il rimando con la realtà appare evidente. Perché in quella varia umanità è un attimo ritrovare gli inquietanti formalismi del potere internazionale. Le grandi decisioni globali. Prese come se nulla fosse fra un giro di tartine e il goccetto di grappa. Repliche fino all’11. D.V.