DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Massini e la ricerca della felicità: "Così un’illusione ci rovina la vita"

Il drammaturgo domani sera al Castello: un recital che smaschera "il sentimento che dura meno in assoluto"

Stefano Massini, 49 anni, è direttore del Teatro della Toscana

Stefano Massini, 49 anni, è direttore del Teatro della Toscana

Alla ricerca della felicità. O forse no? Che ad ascoltare Stefano Massini viene il dubbio di essere un po’ confusi a riguardo. Di non sapere bene cosa desiderare. Col rischio di ottenerlo, come recita quella maledizione gitana. Meglio farsi consigliare dal drammaturgo fiorentino, unico italiano ad aver stravinto i Tony Award. Ovviamente con la “Lehman Trilogy“, grande e ultimo successo ronconiano. Da allora tanto, tanto teatro. Ma anche trasmissioni tv, libri (il recentissimo “Donald“, su Trump, è uscito per Einaudi), la prestigiosa direzione artistica del Pergola, ancora sottosopra dopo le ultime decisioni ministeriali. Intanto però domani l’appuntamento é qui a Milano. Al Castello Sforzesco. Dove arriva con “La ricerca della felicità“, un recital sulla speranza più antica del mondo.

Massini, perché la felicità?

"Perché da sempre ci illudiamo di aver diritto alla felicità e che arriveremo al momento “...e vissero felici e contenti“. Peccato che non accada. Lo stesso spettacolo non è certo zuccheroso o consolatorio. Diciamo che è più dalle parti di Schopenhauer quando afferma: “Felicità, tu mi hai rovinato la vita!“ Peraltro fra i sentimenti primari è quello che dura meno in assoluto".

Credo che in tanti l’avessero già capito.

"Ma sono stati fatti degli studi su questa cosa. C’è ad esempio l’esperimento “Mr Jones“, dove per mesi si sono studiati i comportamenti dell’americano medio borghese, basandosi sulla sua produzione di sostanze chimiche. E pensa che nel periodo preso in esame hanno scoperto che l’uomo ha provato 700 volte la rabbia, 484 la paura e solo 26 la felicità".

Insomma: “Gioia“ è solo una fermata della metropolitana...

"Però è impressionante che invece fin da bambini ci aspettiamo dalla felicità una fase di stabilità emotiva nella nostra vita. E credo che sia un pensiero diventato molto più forte in questo periodo storico in cui devi per forza essere felice o almeno essere lì lì per diventarlo, altrimenti ti conviene fingere per risultare frequentabile o addirittura assumibile".

Ma non è un concetto già in sé illusorio, conoscendo la natura umana?

"Forse nella cultura occidentale, dove la felicità è proiettatata in avanti se non addirittura dopo la morte. In Oriente si sviluppa più sul momento, su quello di cui parlava Goethe: “Fermati attimo perché sei bello!“. Solo che neanche lui aveva la chiave per possederlo. Non a caso ho chiesto al musicista Luca Roccia Baldini di accompagnarmi con rielaborazioni di brani di Battiato. L’ho conosciuto al Piccolo: un uomo inquieto che per tutta la vita ha cercato una possibile via per raggiungere un obiettivo non raggiungibile".

E lei come artista come vive tutto questo?

"Ogni volta cerco di resettare tutto, evitando di diventare la maniera di me stesso. Poi di mio rimango un inquieto e vivo molto il momento. Tanto che non riscriverei mai alcuni miei testi che però hanno rappresentato perfettamente un momento, una forma, delle idee. Per questo vado nel panico quando sento parlare di “un testo alla Massini“. Sono quindi felice di essere infelice se mi permette di osare, di uscire dalle gabbie. E poi le mie opere rimangono spesso aperte".

Cosa intende?

"Ho già scritto due volte su Freud e non escludo la terza. Ma la stessa riflessione su Trump nasce dall’improvvisa consapevolezza che la sua vicenda rappresenti la prosecuzione della storia del capitalismo dopo i Lehman. Me ne resi conto durante una presentazione a New York: era la fine del 2016, lui si sarebbe insediato a gennaio. Immagini da quanti anni ci lavoro".

E pensare che è laureato in Egittologia.

"Decrittavo i geroglifici. Poi ho deciso di tornare al teatro e ho avuto maestri straordinari. Col tempo, facendo pace anche con l’idea di me attore, che a lungo avevo abbandonato".

Come sta andando il libro?

"Molto bene considerando che i miei lavori sono un po’ strani, in versi, non sono le narrazioni che arrivano allo Strega. Racconto il cambiamento, gli anni ’80 reaganiani, la tv, i social. Nei prossimi mesi lo porterò in scena, anche al Piccolo. A conferma di come gli steccati non funzionino più".

Lei ne è un esempio.

"Sì ma è un processo largo, se si vuole inizia già coi lavori di Michael Moore o i premi vinti da Gianfranco Rosi, che hanno abbattuto il confine fra fiction e non fiction una volta invalicabile".