
Libri a confronto di Antonio Calabrò
Milano, 9 aprile 2017 - “Asinocrazia”, diceva Giovanni Sartori, maestro di studi politici, morto pochi giorni fa. Definiva così le classi dirigenti della politica italiana, nella lunga stagione della crisi dei partiti. Non per disprezzo della politica, ma proprio perché ne aveva un’alta opinione e ne soffriva il degrado, di relazioni, competenze, capacità d’ascolto, indirizzo e governo. La lezione di Sartori torna in mente leggendo “La fine del dibattito pubblico” di Mark Thompson, Feltrinelli, ovvero “come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia”. Direttore generale della Bbc, adesso è amministratore delegato del “New York Times”. Sa che la “retorica” è in origine arte nobile dell’uso della parola e che il “discorso pubblico” deve avere la forza del ragionamento e delle emozioni e deve saper essere ascoltato con capacità critiche, dialettiche. Racconta che la democrazia è una forma, un insieme di parole dense, significanti. Ma oggi proprio la parola è in crisi, perché banalizzata o inquinata dall’uso delle fake news, delle falsificazioni, da una propaganda sbrigativa che fa perno sulle emozioni più radicali e viene velocemente amplificata, senza critica competente, dai media digitali.
Si crea un cortocircuito di disinformazione. Le istituzioni liberali, gli organi d’informazione di qualità e la politica ne soffrono. Si allarga lo spazio di poteri irresponsabili e spesso incompetenti. Abili nell’arte della propaganda. Il contrario della democrazia. Viviamo tempi cupi in cui trionfa “La mediocrazia”, per dirla con l’efficace titolo del libro di Alain Deneault, filosofo politico canadese, per Neri Pozza: hanno preso il potere “i mediocri”, dalla politica all’economia, dall’educazione a tutti i campi della vita sociale. Burocrazie, standard professionali medi, processi produttivi e intellettuali disciplinati, non creativi, incapaci di critica. Abitudini. “Una qualità modesta, non del tutto scarsa ma certo non eccellente”, Insomma, “uno stato medio tendente al banale, all’incolore…”. E di conseguenza “la mediocrazia è tale stato medio innalzato al rango d’autorità”.
La crisi non è nuova. Ma s’aggrava. Come racconta Sergio Rizzo, giornalista del “Corriere della Sera” in “La repubblica dei brocchi”, Feltrinelli, un’analisi impietosa del “declino della classe dirigente italiana” ovvero della “decomposizione” che investe la politica, le burocrazie pubbliche, la magistratura, i manager privati, i sindacati, i professionisti e, naturalmente, anche il mondo dell’informazione: «Non sanno usare il congiuntivo. Pensano solo al loro interesse, e spesso senza neanche molta furbizia. Non conoscono vergogna, non prendono lezioni da nessuno. Sono mediocri ma si credono i migliori». Quei “brocchi” naturalmente non vogliono riforme, ostacolano ogni discorso sul “merito”, temono critiche e paragoni. Animali di palude. Che per la loro successione scelgono “brocchi” ancora peggiori.