
Libri a confronto di Antonio Calabrò
Milano, 21 maggio 2017 - Storia come racconto. E letteratura, come strumento essenziale per muoversi tra le pieghe più nascoste della storia con l’aiuto dell’immaginazione. Ne è testimonianza “I fantasmi dell’impero” di Marco Consentino, Domenico Dodaro e Luigi Panella, Sellerio. Romanzo potente. Costruito su una vicenda storica vera, nell’Etiopia del 1937, inizio dell’Impero italiano, tra vanità e corruzione dei gerarchi fascisti. Un magistrato militare, il colonnello Vincenzo Bernardi, viene incaricato dal vicerè Graziani di trovare e bloccare un capitano dell’esercito che, a capo di una banda di irregolari, semina il terrore e provoca la rivolta delle popolazioni indigene. E, con la sua scorta (ufficiali italiani, cavalleggeri “penne di falco” eritrei) si ritrova nel cuore di battaglie, complotti, stupri delle “camicie nere” e ritorsioni tremende. Tra Roma e Addis Abeba va in scena un durissimo scontro di potere tra il vicerè e il maresciallo Pietro Badoglio. E il colonnello Bernardi sperimenta una discesa all’inferno che evoca il “Cuore di tenebra” di Conrad. Altro che “italiani brava gente”. La nostra storia africana è tutta da rivedere.
È faticosa, la ricerca della verità. Come dimostra Caterina Soffici in “Nessuno può fermarmi”, Feltrinelli. Il protagonista, Bartolomeo, studente di filosofia, trova per caso una lettera della nonna Lina. E apre una pagina inaspettata sulla morte del nonno Bart, “disperso, presunto annegato”. Non ucciso in guerra, dunque? Emergono spezzoni di diversa verità, nella Little Italy di Londra nel 1940, quando l’Italia entra in guerra, accanto alla Germania nazista, contro la Gran Bretagna. Gli italiani, perfino i rifugiati antifascisti, diventano tutti nemici. Incarcerati. Deportati. Anche su una nave, l’“Arandora Star”. Affondata dal siluro di un sottomarino tedesco. È una storia sepolta nel dolore di famiglia. Che Bartolomeo tira fuori, aiutato da Florence, l’amica del cuore della nonna Lina in quei difficilissimi giorni inglesi, ma poi... Romanzo popolare, drammatico, civile. Con la forza dei grandi sentimenti. Contrastati, è vero. Mai banali. Tempi di guerra pure nelle pagine di “La busta gialla” di Marco Francalanci, Edizioni del Capricorno. Nella Torino di oggi il protagonista del romanzo, Marco, giornalista settantenne, s’accorge d’avere una strana cicatrice, da iniezioni lombari. E per capirne l’origine, ripercorre con la vecchia madre i giorni della Genova del 1944, occupazione nazista, persecuzioni anti-ebraiche. Ci sono un uomo, destinato alla deportazione in Germania, il figlio gravemente ammalato, una madre che non s’arrende alla malasorte. E un dirigente della Gestapo che, in un sussulto di coscienza, risparmia l’uomo e fornisce alla famiglia un sulfamidico sperimentale, per salvare la vita del bambino. Medicina innovativa. Frutto però di spietate ricerche nei campi di sterminio. La storia ha pieghe oscure. E determina controversi destini.