
Elena Kostioukovitch ricorda la visita a Mosca e San Pietroburgo con lo scrittore
"Vivo a Milano da 38 anni, non potrei stare altrove". Elena Kostioukovitch è scrittrice e traduttrice in italiano e in russo, nata a Kyiv, laureata a Mosca, dal 1996 è naturalizzata italiana. Fra i grandi libri tradotti, 15 opere di Umberto Eco, compreso “Il nome della Rosa”. Tra le opere curate, “L’Orlando furioso” di Ariosto e i “Promessi Sposi” di Manzoni, tra gli scrittori russi che ha portato in Italia, Ludmila Ulitskaya e Eduard Limonov. Tra i premi letterari ricevuti, il Grinzane Cavour e il Premio Nazionale per la traduzione. L’appuntamento è a Brera, il suo quartiere preferito. Elena porta con sé il suo ultimo libro “Kyiv. Una fortezza sopra l’abisso” (La Nave di Teseo, 2025) dedicato alla sua città natale, alla sua famiglia che ha vissuto tre guerre. Un racconto potente, un atto d’amore per un mondo che sta lottando per difendere la propria dignità e assieme tutta la civiltà europea.
Perché si definisce una “scrittrice italiana”? "Mi sono innamorata dell’Italia al primo anno di università: partecipavo a un piccolo gruppo di futuri esperti di lingua e cultura italiana. Il materiale per la mia tesi di laurea era costituito da opere italiane del Seicento, ho tradotto l’enorme trattato di Emanuele Tesauro “Il cannocchiale aristotelico”, e gli storici dell’arte italiani mi hanno accolto nella loro cerchia per preparare l’edizione italiana. Nel 1987 ho pubblicato la mia prima antologia di narrativa russa (Bompiani), l’ho presentata al Primo Salone del libro a Torino e ho iniziato a insegnare all’Università di Trento, per continuare a Trieste e alla Statale di Milano. Ma l’espressione più evidente del mio amore per l’Italia è stato il mio interesse per la cultura alimentare italiana. Il mio libro “Perché agli italiani piace parlare del cibo” è stato tradotto in 27 Paesi e ha vinto il premio dei librai italiani, il Bancarella".
Oggi da Milano come vede la Russia? "È caduta nella trappola del proprio disprezzo per le leggi del “buon governo”. I nuovi ricchi russi hanno deciso che il mondo intero era al loro servizio perché erano riusciti a impadronirsi di enormi tesori dividendo tra loro ciò che apparteneva allo Stato sovietico, ciò che in realtà avrebbe dovuto appartenere al popolo. La polizia segreta si è sentita gelosa del benessere degli oligarchi e ha iniziato a combatterli. Oggi tutti, i capi dei servizi di sicurezza in primo luogo, i tikoon in secondo luogo, sono in lotta tra loro e vorrebbero accaparrarsi delle ricchezze di altri Paesi. Tutto questo è gestito da un abile maestro dell’intrigo, un maniaco con miti folli in testa. Come racconto nel mio libro precedente “Nella mente di Vladimir Putin” (La nave di Teseo, 2022)".
E l’Ucraina? "Nel mio ultimo libro “Kyiv. Una fortezza sopra l’abisso” ho cercato di descrivere quanto la mentalità di questo Paese sia vicina all’Europa, la sua storia, la cultura quotidiana, le relazioni tra le persone e nelle famiglie, l’amore per l’armonia e l’ordine. L’Ucraina è diversa dalla Russia come il giorno dalla notte, e non è un caso che stia combattendo eroicamente per gli ideali dell’Europa e per appartenervi".
Ha tradotto e fatto pubblicare in Russia i sette romanzi di Eco". Vuole ricordare i vostri viaggi? "Purtroppo non gli ho permesso di godersi Mosca e San Pietroburgo, né di riposare durante la nostra folle settimana lavorativa nel 1998. Tenne cinque conferenze, sei cene di lavoro e ventinove interviste. Riuscimmo ad andare sulla Piazza Rossa solo alle due di notte, alla sua conferenza c’erano centinaia e centinaia di persone che volevano ascoltarlo. Eco volle visitare l’Ermitage ma anche lì non abbiamo avuto fortuna: i custodi del museo ci chiusero a chiave nel padiglione tedesco per paura che rubassimo i quadri. Oggi mi vergogno di questi episodi e mi manca terribilmente Umberto Eco. Sto lavorando a un libro sulle gioie e le difficoltà della traduzione, in cui racconto la mia amicizia con lui e i nostri viaggi in Russia, in Lettonia, in Francia, in Germania, in Serbia, in Croazia".