
Ivonne Capece un anno fa ha assunto la direzione del teatro di via Boltraffio. E l’ha trasformato, "partendo da un lavoro sull’identità. Il pubblico ha capito". .
Un taglio. Alla Fontana. Iniziava così, un anno fa, il pezzo qui sul Giorno sulla nuova direzione del Teatro Fontana, affidato alla regista Ivonne Capece. Un cambio al vertice. Rarissimo a Milano. E in via Boltraffio le cose sono cambiate sul serio. Trasformando la sala gestita da Elsinor in un riferimento per la ricerca, la sperimentazione di linguaggi e tecnologie, le tensioni teoriche. Non era facile. E ora c’è da confermarsi con “Welcome to Italy. Come un taglio alla Fontana“, nuova stagione a scardinare stereotipi, dare un’occhiata sotto la cipria del Paese. Con Marco Lorenzi, Ortoleva, Federica Rosellini, Plini, Aldrovandi, Phoebe Zeitgeist, Borgia, Sinisi, i tedeschi Meinhardt & Krauss. A novembre il debutto de “La città dei vivi“ di Capece da Nicola Lagioia. Una di sette produzioni, cui si aggiungono 36 ospitalità, festival, progetti, percorsi didattici.
Ivonne, un bilancio del primo anno?
"Abbiamo lanciato dei semi, a partire dal lavoro sull’identità. Credo che ci sia stato un chiaro riconoscimento da parte del settore e del pubblico, che me l’ha spesso testimoniato. Questo mi ha emozionato molto. Così come il riconoscermi dentro una squadra che quotidianamente condivide con me energia, slanci, fiducia".
Vi state ricollocando nel sistema teatrale milanese.
"Questa è la sensazione. Bellissima. Il Fontana sta occupando un ruolo preciso nella città, è percepito come un punto di riferimento per certi temi e ambiti, a partire dalla ricerca. Chiaramente la strada è lunghissima".
Per fare il salto ci vorrebbero economie più comode?
"La riflessione è sul rapporto fra ambizione e risorse. Ma è un discorso che non riguarda solo l’aspetto economico. Avremmo ad esempio bisogno di una seconda sala più piccola, off, dove accogliere lavori in difficoltà nella nostra platea da 450 posti. Credo però che aver definito con forza la nostra identità apra possibilità di crescita, di dialogare con progetti europei".
La nuova stagione: come la sintetizziamo?
"Aggressiva, violenta".
L’anima riot del Fontana.
"Una precisazione ulteriore del discorso identitario. È una stagione tutta impostata sulla drammaturgia contemporanea, i classici sono progetti contaminati o riscritture. Una scelta che già determina l’assunzione di un rischio culturale. Ne sono consapevole, anche se un pizzico terrorizzata".
I temi?
"Intanto la riflessione sul senso del fare arte, che proviene dall’immagine del taglio, a cui sono legata: la necessità che l’artista rompa la cartolina per mostrare la complessità perturbante del reale. E considero così importante la capacità di “tagliare“ che preferisco l’imperfezione al non assumersi quella responsabilità. Parleremo di società, di lavoro, di Europa, di stereotipi. Oltre al macrotema trasversale del femminile".
“La città dei vivi“?
"Condensa in qualche modo la stagione. A partire dalla difficoltà di risolvere il dialogo fra il nostro passato e un presente di corruzione e forme di potere senatoriali, stantie, che derivano da quell’eredità storica".
Sogno nel cassetto Ivonne?
"Rafforzare le ospitalità internazionali e la presenza delle tecnologie in scena, creando una sezione specifica. Ma mi sa che per il momento è proprio un sogno..."