
Il frontman-attore Raiz ("l’unico napoletano che ama la nebbia") e il ritorno all’Alcatraz con Sanacore
Procida, Giamaica. Questa è la storia di un disco che ha fatto la storia, riuscendo ad intercettare lo spirito dei tempi, ma anche di uno tra i gruppi più influenti della scena anni Novanta. Il ritorno domani all’Alcatraz degli Almamegretta per il trentennale di “Sanacore” gioca ancora, infatti, col reggae-dub di quell’affondo discografico nato in pieno inverno tra le onde del Golfo di Napoli come ricorda Gennaro Della Volpe alias Raiz, voce e cuore di “Nun te scurdà”.
Raiz, partiamo da quel lontano 1995. "Avevamo l’ambizione di fare i musicisti e trasformare questa passione in lavoro, anche se con una purezza che ci teneva lontani da ogni malizia o strategia di marketing. Un po’ come accaduto nel tempo, perché quelle poche volte che abbiamo fatto certi ragionamenti i risultati non hanno portato a niente. Vedi Sanremo nel 2013, che ci ha lasciati esattamente lì dove ci aveva trovati (14° posto con “Mamma non lo sa“, ndr). Se al tempo in cui abbiamo inciso “Sanacore“ fossero venuti a dirci che trent’anni dopo saremmo stati ancora sul palco a cantare quelle canzoni, non ci avremmo creduto. In questo la vita ci ha davvero presi alle spalle".
Che pubblico hanno oggi gli Almamegretta? "Dall’età, direi i nostri fans storici. E poi magari qualche loro figlio richiamato, magari, dalla mia popolarità televisiva. Ragazzi che m’hanno scoperto come attore accorgendosi poi che ho una carriera ben più lunga e significativa come musicista. Comunque siamo soddisfattissimi di farli felici perché questo è un tributo alla band e ai noi stessi nato, innanzitutto, dalla voglia di stare assieme e di divertirci".
Quando nel 2004, a Milano, un incidente vi ha portato via D.RaD, Stefano Facchielli, l’avventura degli Alma sembrava finita. Cosa v’ha convinti ad andare avanti? "Quei rapporti umani che nel tempo, pur tra lontananze e vicinanze, ci avevano fatti diventare una famiglia. Ci siamo lasciati, ma anche ripresi quando la nostalgia ha iniziato a farsi sentire. In questo tour, ad esempio, abbiamo in agenda ancora sei date, ma sento già la nostalgia di quando scenderemo dal palco per ritrovarci solo a metà luglio, perché in mezzo ho due film da girare".
Quali sono state le esperienze più esaltanti fuori dalla sua band di riferimento? "Le prime che mi vengono in mente sono quelle con Fausto Mesolella. Anzi, dico sempre che nella mia vita c’è stato un prima e un dopo Fausto, perché, oltre ad essere un bravissimo chitarrista, dalla collaborazione nell’album “Dago Red“ in poi ha saputo tirarmi fuori cose che neppure pensavo di saper fare. Senza il coraggio e la voglia di nuovo che ha saputo infondermi lui, ad esempio, non penso che lo scorso anno sarei riuscito a pubblicare un album lontano dalle mie corde come quello dedicato a Sergio Bruni".
La prima canzone fatta ascoltare a sua figlia Lea? "Non mia, ma di Pino Daniele".
Prima parlavamo dell’attività d’attore, don Salvatore Ricci l’ha fatta diventare uno (spietato) divo della tv. "Ricci ha cambiato tante cose nella mia vita. Anche se l’attore l’ho sempre fatto, un progetto televisivo popolare e trasversale come “Mare fuori“ è stato importante. Ho cominciato facendo tanti camei, poi in “Amore e malavita“ i Manetti Bros m’hanno affidato una parte importante e da lì la strada è proseguita. Pure sul palco quella di Raiz è stata per tanti anni una maschera da indossare, ma ora mi sento molto più Gennaro, perché passando parecchio tempo sul set non ho bisogno di fare l’attore pure quando canto".
I sette anni trascorsi da bambino a Vignate cosa le hanno lasciato? "In cuor mio non ho mai capito se sono un lombardo trapiantato a Napoli o un napoletano che passato la fine dell’infanzia a Milano. La mia famiglia s’è trasferita qua, infatti, che avevo sette anni e m’ha riportato a Napoli a 13. Difficile scindere le due cose perché a Milano ho fatto esperienze decisive per la mia vita, come le prime amicizie, il primo amore. Così, ogni volta che vengo, un caffè in piazza a Vignate me lo concedo volentieri".
Lo dice pure nella raccolta di racconti “Il bacio di Brianna”, data alle stampe quattro anni fa. "Mi definisco l’unico napoletano affezionato all’idea della nebbia. E qui si capisce che l’epiteto partenopeo “al Nord avete solo la nebbia“ non fa per me. Fra l’altro, per i cambiamenti climatici, i nebbioni in cui mi avventuravo ai tempi della scuola coi miei libri e la mia focaccetta sottobraccio non ci sono nemmeno più".