DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

La vita, la morte e le donne: Lavia è "L'uomo dal fiore in bocca" al teatro Parenti

Il grande attore, a 75 anni, da mercoledì al Parenti con il capolavoro di Pirandello

Gabriele Lavia, 75 anni

Milano, 8 febbraio 2017 - Le donne, la vita, la morte. E poi il teatro, ovviamente. Imprescindibile in qualsiasi chiacchierata con Gabriele Lavia. Più di mezzo secolo di mestiere sulle spalle. Ma anche cinema, tv, qualche direzione importante: lo Stabile della sua Torino, l’Eliseo, la Pergola. E a 75 anni riparte proprio da Firenze con “L’uomo dal fiore in bocca… e non solo”, titolo deboluccio ma progetto curioso, da oggi al 19 febbraio al Franco Parenti. In pratica l’atto unico più famoso di Pirandello mischiato ad altre novelle del Premio Nobel. Con Lavia nel ruolo del protagonista, affiancato da Michele Demaria e Barbara Alesse.

Lavia, ci racconti allora del suo Pirandello. «Meno male, mi hanno appena chiesto di Venezia e delle maschere. Ma cosa posso aver da dire io sul Carnevale?».

Non ne ho idea. «Neanch’io. In compenso le posso confidare che amo Pirandello. Va da sé. Ma non è solo una questione professionale. È proprio un legame affettivo. Mi fa venire in mente i vecchi libri con la copertina verde di mia nonna in Sicilia. È come se risentissi la sua voce mentre lo declama con le mani chiuse. Era molto più brava di me, leggeva infatti da appassionata, non da attrice. E poi “L’uomo dal fiore in bocca” è il capolavoro dei capolavori».

Perché? «Perché ci dice che la vita appartiene alla morte. Concetto metafisico che emerge in questo brevissimo atto unico. Pirandello prese la sua novelletta “La morte addosso”, non le cambiò nemmeno la punteggiatura, aggiunse solo sulla sinistra i nomi dei personaggi e la diede a Ruggero Ruggeri. In quei tempi i grandi attori avevano le loro serate d’onore, in cui dopo gli applausi regalavano bis al pubblico. E infatti questo testo da solo non supera gli 8 minuti. Per questo ho deciso di inserirci frammenti di altre novelle sulla morte e sulle donne. Concetti impossibili da slegare».

In che senso? «È stato lo stesso Pirandello ad avallare il racconto, un episodio della sua infanzia. Un giorno andò nel fondaco, nonostante il divieto della serva. E qui il bambino vide un cadavere steso sul tavolaccio, con dei piedi molto grandi. Ma oltre a questo c’erano ansimi e fruscii che provenivano dal buio. Quando gli occhi si abituarono all’oscurità, in un angolo il giovane Pirandello vide una figura femminile con una gonna di seta alzata, quasi a coprire il volto. E un uomo attaccato al suo corpo».

Torniamo al mosaico drammaturgico. «Rileggendo il tutto mi è sembrato che stesse in piedi, quasi fosse scritto dallo stesso Pirandello. Ed effettivamente finora è andato bene. Ora speriamo a Milano, piazza importante, forse la più importante da quando due signori chiamati Paolo Grassi e Giorgio Strehler l’hanno trasformata in una capitale europea della cultura».

Che periodo è Lavia? «Siamo alla fine. Ho 75 anni, mi mancano poche regie, non mi posso illudere. D’altronde abbiamo solo la possibilità di guardare il passato. E di farci guardare da lui. Ma questo è un concetto rifiutato dalla società contemporanea, che pensa di essere più sapiente».

E il teatro? «Non morirà mai. Anche se chi ne determina le leggi non è mai stato su un palco. Che è un po’ come se un chimico volesse essere un campione di nuoto solo perché conosce la formula dell’acqua. Il teatro è complesso, si basa sul rapporto fra attori e spettatori. Tutto il resto è periferia».