GRAZIA LISSI
Cultura e Spettacoli

Fabrizio Meloni celebra 40 anni alla Scala con il suo clarinetto

Il primo clarinetto solista racconta la sua carriera e l'emozione di suonare Verdi alla Scala.

Il primo clarinetto solista racconta la sua carriera e l'emozione di suonare Verdi alla Scala.

Il primo clarinetto solista racconta la sua carriera e l'emozione di suonare Verdi alla Scala.

Il suono del suo clarinetto apre il terzo atto de "La Forza del Destino" e conduce l’ascoltatore all’aria di Alvaro. Un assolo toccante e intenso che sembra scritto da Giuseppe Verdi proprio per Fabrizio Meloni o, almeno, così ci piace immaginare.

Primo clarinetto solista dell'Orchestra del Teatro di cui fa parte dal 1984, si è diplomato presso il Conservatorio Verdi di Milano con il massimo dei voti, premiatissimo e star del clarinetto internazionale, compositori contemporanei hanno dedicato a Meloni brani importanti.

Fra i protagonisti del capolavoro verdiano -il suo assolo lo annota fra gli interpreti- alla Scala (repliche 13, 16, 19, 22, 28 dicembre e 2 gennaio). Fabrizio Meloni racconta i suoi quarant’anni di carriera scaligera: "Il 20 dicembre, nel Ridotto dei Palchi Arturo Toscanini festeggerò questo fatidico compleanno suonando e ripercorrendo la mia lunga strada artistica. Vi aspetto tutti alle ore 18". (prenotazione obbligatoria).

Maestro, sa che molti spettatori si sono commossi ascoltando il suo assolo sia in Teatro, sia in tv che alla Prima Diffusa? "Ne sono felice, lusingato. E’ una pagina molto importante della storia della lirica, perché nasconde una storia particolare e bella. L’opera è stata commissionata dal Teatro Imperiale di San Pietroburgo e lì ha debuttato nel 1862, il primo clarinetto dell’orchestra era un musicista straordinario, in tutta la Russia era definito il "Paganini del clarinetto", quasi sicuramente Verdì sì innamorò del suo suono e decise di scrivere per il clarinetto questa splendida parte".

E cosa significa, per lei, averla suonata in mondovisione? "E’ un assolo incredibile, un affresco; il tremulo degli archi introduce a questa melodia soave e tormentata, ci sono passaggi tecnici difficili. L’ho già suonato alla Scala, portata in tournée nel 1999 in Giappone diretto da Muti, eseguirla nel mio quarantesimo anniversario scaligero è un’emozione".

Com’è entrato alla Scala? "Attraverso un’audizione a cui assisteva anche il primo clarinetto d’allora; Claudio Abbado mi aveva ascoltato suonare ai Pomeriggi Musicali e mi aveva indirizzato a questa selezione. Due anni dopo, nel 1986, ho vinto il concorso con Muti".

Cosa le hanno dato Claudio Abbado, Riccardo Muti, Daniel Barenboim e Riccardo Chailly? "Quando ho incontrato per la prima volta Abbado ero un ragazzino, sono nato nel 1965; lo vedevo salire sul podio e trasformarsi in un drago. Ricordo le prove di “Un viaggio a Reims“, con la regia di Ronconi, la buca dell’orchestra era stata rialzata, il cast era pazzesco.... Muti ha saputo forgiare l’orchestra, darle un suono; con Barenboim abbiamo imparato a usare il suono in maniera diversa. Chailly ci ha portato ad approfondire il Novecento nella ricerca della perfezione dell’insieme, della divisione del suono fra noi e i cantanti, soprattutto in Puccini".

Com’è arrivato al clarinetto? "Mio nonno, artigiano del legno, suonava nella banda. Avevo sette anni, volevo suonare ma non stavo mai fermo e nessuno mi dava retta. Mio nonno ha iniziato a spiegarmi un po’di solfeggio, senza crederci molto mentre io, invece, studiavo seriamente".