ANNA MANGIAROTTI
Cultura e Spettacoli

Dal Buono racconta Il male maschio: "Svelo le fragilità del lupo cattivo"

La sua città a Occidente è Milano, al confine tra Isola e Maciachini "spartitraffico tra mondi diversi"

La sua città a Occidente è Milano, al confine tra Isola e Maciachini "spartitraffico tra mondi diversi"

La sua città a Occidente è Milano, al confine tra Isola e Maciachini "spartitraffico tra mondi diversi"

Per incipit, su un divano c’è il cadavere di un maschio bianco quarantenne, la testa rotta da quattro colpi di bistecchiera antiaderente. L’autore della perfida storia, Enrico Dal Buono, lascia indeterminato il luogo: “In una città a Occidente... ”

Sveliamo che “Il male maschio” (La nave di Teseo) è ambientato a Milano? "Sì, inconfondibile la toponomastica: piazza Cavour con i Giardini Montanelli, le vie strette di Brera, viale Stelvio, dove vivo io... ".

Luogo aperto, si sta riconfigurando con una molteplicità di anime. "Al confine tra Isola e Maciachini, è infatti una sorta di spartitraffico tra mondi diversi: pre e post gentrificazione".

Ed è medico pure lei, dottor Dal Buono, come il protagonista del romanzo? "No, anche se da buon ipocondriaco mi piacerebbe essere un anestesista come Andrea, al centro della storia. I molti riferimenti anatomici, e a patologie, farmaci, interventi chirurgici, nel racconto, io li ho disseminati attraverso un serio lavoro di documentazione, e una rete di amici medici, generosi di informazioni".

Trovare nelle primissime pagine medicine che aumentano di anno in anno, la sera, davanti al piatto della settantenne madre di Andrea, farà sentire molti lettori/lettrici come a casa. Ma “il male” argomento della narrazione è più complesso...

"Per l’ambiguità della lingua italiana, “male“ ha un valore sia biologico (esso stesso dolore) che etico. Ma nella visione ipermaterialista di Andrea tutto è ridotto a processi chimici, anche l’anima: il cervello è carne, e lo sono i pensieri, gli amori...".

Deformazione scientifica. "Perciò, questa visione, propria del nostro mondo desacralizzato, lui la vuole superare, alla ricerca dell’assoluto. E diventa vittima, non sprovveduta. In piena volontà si fa massacrare la testa con precisione osteologica da Yaya, la sua ultima donna: la ama immensamente e, come sempre, non riesce a non tradirla".

Il delitto avviene la vigilia di Natale, ma il sacrificio per riscattarsi dall’egoismo biologico alluderebbe a una resurrezione pasquale. Comunque, l’incapacità di essere migliori riguarda tutti?

"L’uomo, affetto da una “malattia mortale” (per dirla con Kierkegaard), è incastrato nella violenza tanto quanto la donna. Nei libri sulla violenza tra i sessi, numerosi in questi anni, si espone il punto di vista della donna, pecorella, vittima del lupastro. Nel mio, senza pretese apologetiche, quello del “cattivo“, punito".

Yaya, artefice della punizione, arriva a coabitare con Andrea da Quarto Oggiaro, o da dove più esattamente? "Dice lei “da lontano”. Potrebbe essere mongola, kazaka, kirghiza... o venire da un’isola sulle rotte tra Africa e Asia. Parla una lingua strana, con un accento indefinibile".

Come capita di sentire nella Milano multietnica. "E a lui va bene così. L’alterità totale è viatico per superare la nostra cultura, che ha rinunciato alla spiritualità per i piaceri materiali".

Una soluzione meno cruenta non si sarebbe potuta cercare al centro di autocoscienza maschile in viale Monza (segnalato a pag.184)?

"Di sicuro, i maschi oggi stanno attraversando una fase di confusione, di decostruzione. Dopo essere stati padri di famiglia o padri padroni, cosa devono diventare? Io racconto la loro fragilità".