
Elif Shafak
Milano, 17 novembre 2016 - Elif il nome Shafak il cognome (in realtà è il nome della mamma, Alba). Lingua madre il turco, seconda lo spagnolo, terza l’inglese. La scrittrice turca che ha conquistato i lettori di tutto il mondo con “La bastarda di Istanbul” è l’ospite d’onore all’inaugurazione di BookCity oggi, ore 19, al Teatro dal Verme, dove presenta il suo ultimo romanzo edito in Italia da Rizzoli, dialogando con Rula Jebreal, altra figlia indipendente della cultura mediorientale.
Perché, signora Shafak, “Tre figlie di Eva”, e non 2 o 7?
«Ebraismo, Cristianesimo e Islam, le religioni che rivendicano Abramo come parte della loro storia sacra, parlano sempre dei figli di Adamo, non delle figlie di Eva. Ho voluto riportare l’attenzione su chi non ha avuto voce, riportare le donne nel cuore di una storia: la Peccatrice, la Credente, la Dubbiosa».
Nessun elemento autobiografico in almeno una?
«Poiché sono una scrittrice, semmai mi piace nascondermi in un personaggio maschile. Ora nel professor Azur, ribelle e anticonformista docente di filosofia delle tre a Oxford, quando erano giovani studentesse».
Crescere in una famiglia di donne l’ha condizionata?
«Ho sofferto l’assenza del padre e dei fratellastri, che lui cresceva amorevolmente. Io ero “l’altra”. Cresciuta da una madre emancipata, laica, che ha scelto la cultura occidentale, e da una nonna molto orientale, tradizionalista, religiosa. Così ho potuto osservare due modi diversi di essere donna».
Lei ha vissuto sia in Turchia che negli Stati Uniti, ora riavvicinati dal sogno di uno Stato forte, guidato da un “baba”. Come giudica la vittoria di Donald Trump alle presidenziali?
«Mi rattrista molto che tanti americani lo abbiano votato. Ma non sono sorpresa. In tutto il mondo stanno proliferando populismo, nazionalismo, xenofobia, isolazionismo, in questa nostra epoca della paura. Dobbiamo osservare attentamente i fenomeni e le tendenze, e trovare alternative migliori».
Tra Usa e Messico si annuncia la costruzione di un muro. Anche in Turchia 3 milioni di rifugiati rappresentano un problema. Cechov dice che la soluzione di un problema sta nel modo migliore di porre la domanda. E lei?
«Dico che il muro non è una soluzione. Il problema dei rifugiati è la più grande crisi umanitaria dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. E va risolto con la cooperazione internazionale. E noi che crediamo nella democrazia, nella libertà, e nelle diversità, dobbiamo far sentire di più la nostra voce».
Un problema più banale. Per una donna come conciliare maternità, lavoro, interesse per la politica?
«In tutto il Medio Oriente il ruolo primario della donna s’identifica nella maternità, e le donne sono confinate negli spazi privati delle mura domestiche. Io sono convinta che non potremo costruire un futuro migliore se non riconosciamo potere alle donne. Tutte insieme. Abbiamo bisogno di una cultura della sorellanza».
Una bella donna come lei può essere tentata di passare un po’ troppo tempo davanti allo specchio. Perciò in Turchia si usa oscurarlo?
«L’uso appartiene alla generazione di mia nonna, non di mia madre. Ma dappertutto, nel mondo, le ragazze crescono pensando che il valore della persona sia determinato. Dobbiamo riformare questo codice patriarcale».
Ricevere oggi dalle mani del sindaco di Milano il Sigillo della Città cosa significa per lei?
«Un grande onore che mi rende felice».