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Storia di Pedro, studente di psicologia a Genova che paga rette e affitto facendo il rider

L'odissea: 680 euro e 20 ore di lavoro (la sera per studiare di giorno). Un motorino comprato a rate, un affitto di 300 euro al mese e il resto per la spesa

Rider al lavoro di sera, molti di loro sono studenti

Rider al lavoro di sera, molti di loro sono studenti

Genova - Seicentottanta euro per 20 ore di lavoro in qualunque condizione atmosferica, sfidando il traffico a bordo di un motorino che deve ancora finire di pagare, con un affitto di 300 euro da saldare ogni mese e la spesa per andare avanti. Eccola qui, in cifre, la quotidianita’ di Pedro, studente fuori sede, iscritto alla facolta’ di psicologia di Genova, che si mantiene facendo il rider per Justeat. 

La sua settimana ha due momenti cruciali, racconta all’Agi, “il martedi’, quando si carica sull’applicazione apposita la disponibilita’ dei turni della settimana successiva, e il giovedi’ quando vengono consegnati i turni: tendenzialmente le proprie richieste di disponibilita’ non vengono affatto tenute in considerazione”. Il pacchetto ore di Pedro e’ quello piu’ comune, anche se l’azienda sigla contratti per le 10, le 15, le 30 e in pochissimi casi le 39 ore

Ha scelto di lavorare la sera per studiare al pomeriggio: “Sono stato assunto a novembre, ma ho iniziato a gennaio perche’ non avevo ricevuto lo zaino, ovvero kit base per poter lavorare. Inizialmente lavoravo parecchio: facevo la consegna, la contrassegnavo sull’applicazione e, tempo zero, arrivava un’altra consegna. Ora capita spesso che arrivi un ordine alle 19.15, entro le 19.30 lo finisco e aspetto fermo in un punto della citta’ fino alla fine del turno, alle 22, perche’ non mi mandano nuovi ordini”. Un problema legato all’aumento di piattaforme.

 Dolente il tasto sicurezza: nei primi 3 mesi del 2022 sono gia’ 5 i rider che hanno perso la vita mentre lavoravano, diventando una delle categorie piu’ a rischio: “la mia societa’ prima di ogni turno fa fare dal lavoratore, come una sorta di autocertificazione, il vehicle check. Questo avviene almeno mezz’ora prima del turno - racconta Pedro - se non lo fai, viene segnalata l’assenza. Magari te ne dimentichi, lavori comunque e, alla fine, scopri l’assenza“. 

Poi precisa: “Nel modulo sei tu lavoratore a dire che i freni funzionano, che i fari funzionano, che le gomme sono buone. Io viaggio in motorino e, per ogni turno di due-tre ore, devo schivare almeno un paio di macchine. Spesso mi trovo a litigare con automobilisti intenti a scrivere sul telefonino, o a qualcuno che taglia la strada”. Tra i pochi aspetti positivi della professione, c’e’ il fatto che non vi e’ competizione tra rider, anzi “una cosa che mi ha sorpreso subito e’ che, pur non conoscendosi, ci si saluta quando ci si incrocia per strada. La maggior parte sono stranieri. Ci sono poche donne, mentre non e’ difficile trovare rider over 50”. 

Nonostante questo clima poco ostile tra lavoratori, resta difficile organizzarsi e lottare insieme per migliorare le proprie condizioni. “Da un lato vi e’ l’atteggiamento dell’azienda nei confronti di ogni tipo di protesta - sottolinea Pedro - come nel caso di alcuni ragazzi che aderiscono al collettivo Deliverance Project che rischiano il posto dopo uno sciopero. Questo e’ inaccettabile”. Non e’ l’unico ostacolo da superare: ad oggi infatti solo Justeat ha un contratto condiviso con i sindacati confederali.

Ma il problema - evidenzia Pedro - e’ che il pensiero comune e’ che “senza contratto si guadagna di piu’. Senza pensare al fatto che le condizioni di lavoro sono ben peggiori. Io ad esempio faccio parte di Slang e, a differenza degli altri sindacati, vogliamo creare una coscienza collettiva, sensibilizzare su temi quali la sicurezza sul lavoro. Non e’ solo il denaro il fine della battaglia - conclude - ma ridare dignita’ al lavoro”.