L’arcivescovo Delpini: "Milano non è Utopia ma nemmeno Babilonia. I migranti? Una risorsa"

Intervista all’arcivescovo della diocesi di Milano sui problemi della città che deve essere “abitabile e accogliente”

L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini

L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini

“Milano non è la città di Utopia. Non è neppure Babilonia la grande, la madre delle prostitute, ubriaca del sangue dei santi, per citare l’Apocalisse".

Non è la città ideale di Tommaso Moro, non è il simbolo del Male. Però a lungo si è parlato di modello Milano: è un’espressione abusata?

"Più che una città, Milano è un compito. L’ambizione di essere un modello è segno di una presunzione. La determinazione a costruire una città abitabile e accogliente, solidale ed esigente è segno di una risposta alla vocazione, è la fierezza di affrontare le proprie responsabilità in modo serio e capace". Mario Delpini, 71 anni, arcivescovo dal 2017, dall’inizio del magistero offre il suo "servizio" nel solco dei predecessori – Scola, Tettamanzi, Martini, Colombo, Montini che fu proclamato Paolo VI – portando avanti la "responsabilità missionaria" che innerva la Chiesa ambrosiana. Non si fa chiamare eccellenza e neppure monsignore: don Mario, tra la gente.

Da tempo invoca la necessità di progettare percorsi “per immaginare una città solidale e non a due velocità, con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri”.

"Mi sembra che ci siano buone ragioni per mettere in discussione lo schema centro-periferia. Credo sia più realistico parlare di quartieri. La qualità dei quartieri non è data solo dalla configurazione urbanistica, ma dai comportamenti di chi li abita. La visita pastorale che sto compiendo a Milano in questi mesi è motivo di meraviglia e gratitudine. La presenza della comunità cristiana è capillare, le difficoltà della gente hanno impegnato molti a dare vita a forme ammirevoli di solidarietà, a percorsi tenaci di inclusione, di servizio e di alleanza tra associazioni di diversa estrazione, istituzioni locali, istituzioni accademiche".

Le disparità però aumentano e si allungano le code alle mense della carità.

"I bisogni sono più grandi delle risorse disponibili e della generosità delle persone. Il bisogno più grande e meno avvertito è quello di una speranza che sostenga la sproporzione senza lasciarsi cadere le braccia. Chi ha una speranza da condividere? I cristiani, pur così impegnati come sono, forse sono inclini a una discrezione che sa troppo di timidezza".

L’emergenza casa è ormai cronica. Gli universitari protestano per gli affitti, le giovani coppie non possono permettersi un mutuo e anche i lavoratori si sentono sempre più poveri e precari davanti al caro-prezzi. Milano è dei single e sempre meno per famiglie: un vero cortocircuito sociale.

"Chi governa la città? Forse il grande capitale che aggredisce la società per spremerne profitto? Forse la malavita organizzata che con soldi che grondano sangue vuole comprare un vestito presentabile? Forse i cittadini che non vanno a votare e si ritagliano un appartamento tranquillo dietro porte corazzate? Forse un individualismo radicale che intende la solitudine come una situazione rassicurante a motivo della persuasione che gli altri siano inaffidabili e che nessun amore è destinato a durare?".

Lei che risposte si dà?

"Il desiderio di Dio è che nessuno sia solo. Perciò i cristiani si dedicano a promuovere la famiglia, la solidarietà, l’ospitalità. Non hanno la soluzione per tutti i problemi. Non presumono di essere migliori degli altri. Sono uomini e donne di buona volontà e camminano insieme e fiduciosi con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. La situazione non cambia in un anno. Ma gli uomini e le donne di buona volontà sono convinti che il tempo sia amico del bene. La loro forza è la perseveranza, il loro stile è la discrezione, la loro luce è l’intelligenza. Hanno spesso l’impressione di avere nemici più forti di loro, nemici senza volto...".

Quali nemici, arcivescovo?

"La burocrazia, la corruzione, i poteri forti che non abitano da nessuna parte e sono dappertutto. I cristiani non possono però arrendersi: amano il futuro".

I neonati affidati dalle madri agli ospedali, le donne violentate, la droga ovunque, gli scippi in metrò: che riflessione le suscitano questi fatti?

"L’informazione dei punti esclamativi e dei titoli gridati ha forse come scopo di suscitare emozioni e spavento. La cronaca seleziona le notizie: vuole indurre a disperare dell’umanità e a irridere le istituzioni. I titoli gridati coprono le parole semplici e buone, la presenza coraggiosa con cui le persone buone, le forze dell’ordine, le associazioni, cercano di contrastare la barbarie, la follia, l’aggressività scatenata. Ogni giorno si combatte la battaglia. Talora tocca riconoscere sconfitte e piangere perché nella gente di Milano il soffrire altrui fa soffrire e anche arrabbiare".

Viene proposta una narrazione stonata di Milano?

"Io alla cronaca gridata e all’informazione dei punti esclamativi preferisco la narrazione intelligente che cerca di capire e che interroga: tu da che parte stai? Tu che cosa puoi fare? Anche gli episodi di cronaca più drammatici, le sconfitte che subiamo nella battaglia quotidiana per il bene, hanno suscitato un farsi avanti di gente che vuol dare una mano. Anche questa è Milano".

“È triste e fa male vedere porte chiuse verso il mondo”, ha detto Papa Francesco in Ungheria. Come giudica le politiche sull’immigrazione?

"L’enfasi mediatica sui barconi vuole convincere che i migranti sono tutti rifugiati bisognosi di beneficenza, persone sospette e forse pericolose. Questa vecchia Italia in crisi demografica potrebbe essere anche più intelligente e riconoscere la risorsa costituita da persone oneste, laboriose, sfortunate. I migranti non sono una categoria uniforme. La civiltà occidentale ha una sapienza che potrebbe sviluppare una cultura dell’accoglienza e una politica dell’integrazione. Ci sono però pigrizie, paure, pregiudizi".

Nel primo discorso da arcivescovo citò Ungaretti: di che reggimento siete, fratelli?

"Nella Chiesa non esistono stranieri e la responsabilità di essere “Chiesa dalle genti” impegna i cristiani a liberarsi dal pregiudizio di essere i bravi che aiutano i poveracci, per essere fratelli e sorelle che condividono doni".

Cosa frena la “rivoluzione spirituale e culturale” che lei auspica per Milano e l’Italia?

"Chi non ha stima di sé è incline alla rassegnazione: la rivoluzione spirituale rivela che la vita non è una sistemazione rassegnata, ma una vocazione. Chi guarda agli altri con diffidenza e indifferenza è incline all’individualismo: la rivoluzione culturale è la decisione di costruire un’alleanza fondata sulla stima reciproca".