
A dispetto dei suoi 66 provvedimenti elencati in trenta pagine di casellario giudiziale, il magistrato di sorveglianza a luglio 2018 gli aveva accordato fiducia, trasformando la sua carcerazione, in arresti domiciliari in una struttura di accoglienza di Appiano Gentile. Dove Giuliano Baratella, 51 anni, varesino, aveva iniziato a molestare in modo sempre più pressante una dipendente. Ma le sue attenzioni non venivano ricambiate così, il 3 luglio 2018, aveva messo a segno il blitz che ora gli è costato 9 anni e 3 mesi di reclusione: si era infilato nella sua auto e aveva cercato di soffocarla.
Finito a processo davanti al tribunale collegiale di Como, è stato condannato per tentato omicidio, furto aggravato, evasione e stalking. Quel giorno infatti, era evaso dagli arresti presso la comunità, per andare a cercare la donna su cui si era fissato. L’aveva obbligata a farlo salire in auto, per poi cercare di strangolarla, sbattendole il volto contro il volante. La vittima era riuscita a scappare e Baratella se ne era andato con l’auto della vittima. Dai domiciliari, era stato riportato in carcere, ma anche qui aveva trovato il modo di continuare a perseguitarla: per tre settimane, l’aveva tempestata di lettere in cui alternava messaggi d’amore e minacce di morte, ma anche di messaggi sms, utilizzando il telefono di un detenuto che ne disponeva in quanto ammesso ai permessi premio. Tra i tanti trascorsi criminali di Baratella, c’è anche un periodo di detenzione con Gianfranco Stevanin, il serial killer veneto arrestato nel 1994, con l’accusa di aver ucciso sei donne. Nel 1996, i due si erano conosciuti nel carcere di Verona, dove Baratella era finito con una condanna per detenzione di armi e violenza sessuale, autoaccusandosi, davanti agli altri detenuti, di omicidi che non aveva mai commesso. Così Stevanin gli chiese aiuto per trovare un killer disposto a incassare 25 milioni di lire per violentare, uccidere e fare a pezzi la giornalista che stava seguendo il suo processo: Baratella per un po’ aveva retto il gioco, per poi confessare tutto al Pm. Paola Pioppi