
Vernice rossa per ricordare i 10 anni dal drammatico evento
Como - All’ingresso di Como, sul marciapiede di via Provinciale, davanti al portone di un grosso caseggiato all’angolo di via Pannilani, c’è ancora qualcuno che si prende la briga di versare della vernice rossa per ricordare la drammatica vicenda di Rumesh a 15 anni di distanza dal colpo sparato a bruciapelo da un agente della polizia locale alla testa di un ragazzo appena maggiorenne. Dopo l’aggressione a Federico Aldrovandi, prima del caso di Stefano Cucchi, ci fu un evento che indignò migliaia di persone ma che, nonostante la grande mobilitazione contro l’abuso della violenza da parte di uomini in divisa che stava montando proprio in quel periodo, finì presto nel dimenticatoio. Il 29 marzo 2006, nel primo pomeriggio, Rumesh Raigama Achrige, originario dello Sri Lanka, era alla guida di un’auto in compagnia di tre amici fra i 15 e i 18 anni. Scendeva verso Como e, probabilmente intimorito dal fatto di essere alla guida dell’auto con il solo foglio rosa, decise di non fermarsi all’alt intimato da agenti in borghese della polizia locale di Como. Dopo un breve inseguimento l’auto venne bloccata e i ragazzi fatti scendere.
Uno degli agenti, Marco Dianati, del “nucleo sicurezza” (o nucleo anti-writers), pistola in pugno, teneva a bada Rumesh sul marciapiede davanti al caseggiato. A un certo punto si sentì un colpo. Il ragazzo crollò a terra in una pozza di sangue. Secondo l’agente fu un incidente. Disse di essere inciampato. Sopravvissuto al proiettile che gli aveva trapassato la testa, a Rumesh fu diagnosticata un’invalidità permanente del 95%. La parte destra del corpo semi paralizzata. Il processo che ne seguì portò a una condanna per l’agente: due mesi di detenzione per il reato di lesioni personali. Una sentenza che suscitò l’indignazione di molti per la sua lievità, tanto che il vigile tornò in servizio poco dopo.
La famiglia di Rumesh accettò un risarcimento che all’epoca fu quantificato in un milione e 600 mila euro. Rumesh nel frattempo è tornato in Sri Lanka. Ma quello che fece scatenare la rabbia di tante persone è che si trattava di un evento quasi annunciato, dopo l’escalation repressiva che era stata messa in atto a Como. In quel periodo, infatti, la giunta guidata da Stefano Bruni, con l’assessore alla sicurezza Francesco Scopelliti, aveva ingaggiato una guerra nei confronti writers della città. Era stato creato addirittura un nucleo di polizia locale con poteri speciali, il famoso “nucleo anti-writers” che attraverso appostamenti in borghese, intercettazioni, perquisizioni all’alba nelle case dei sospettati, voleva risolvere il problema del “decoro” urbano. Quell’inseguimento finito nel sangue fu proprio la conseguenza di uno di questi pedinamenti. Il colpo di pistola scatenò manifestazioni di piazza, dimostrazioni ripetute di solidarietà alla famiglia del ragazzo, ma soprattutto proteste che contestavano al nucleo di polizia locale l’’uso delle armi, la preparazione degli agenti e le loro competenze. Dopo quell’esperienza i ragazzi di Como si riunirono nel movimento spontaneo “Fuori dalle Mura“ che per oltre un anno lavorò alla realizzazione del documentario “Voi sparate io disegno“. Fra i messaggi della mobilitazione c’era proprio quello che chiedeva di togliere agli agenti l’uso della pistola.
"Quelle armi si adattano meglio alle circostanze nelle quali ci troviamo ad agire", tagliò corto Vincenzo Graziani, l’allora comandante della polizia locale di Como che commentava la proposta di togliere la pistola d’ordinanza ai suoi agenti e dotarli di spray urticanti e armi più innocue. Un’ossessione per la sicurezza che non ha mai abbandonato chi governa il capoluogo lariano, dove fra l’altro non c’è mai stata una vera e propria emergenza per quanto riguarda i reati di strada. Proprio a Como l’anno scorso ha debuttato, per la prima volta in Italia, un nuovo sistema di videosorveglianza con riconoscimento facciale che si è già guadagnato le critiche del Garante della privacy, che ha ricordato agli amministratori locali che questa tecnologia non è consentita nel nostro Paese.