
La casa di riposo di Pianello
Pianello del Lario (Como) - «Mi avevano assunto per fare le pulizie. Ma mi sono trovato ad accudire quattro persone anziane, giorno e notte. Dovevo lavarle, dagli da mangiare controllare che prendessero i loro farmaci, assisterle e aiutarle in ogni cosa. Una di loro non era autosufficiente, e tutte avevano bisogno di aiuto continuo. Per un anno, non ho potuto vedere mio figlio, perché non avevo giorni di riposo". Poi Alexandro, che oggi ha 26 anni e un altro lavoro, non ce l’ha fatta più a reggere quella vita, che non gli lasciava mai nemmeno un minuto libero, in cambio di 800 euro e una brandina su cui dormire. E ha deciso di presentarsi dai carabinieri dell’Ispettorato del lavoro, sporgere denuncia a far partire l’indagine che aveva consentito di scoprire la struttura per anziani e una quantità di violazioni.
Ora, assieme ad altri tre ex colleghi tutti peruviani, si è costituito parte civile nel processo che si è aperto ieri a Como nei confronti dei suoi ex datori di lavoro: E.F., 62 anni e la moglie G.E.C.H., 54 anni, accusati di aver gestito fino al 2018 a Pianello del Lario, una casa di riposo in cui "sottoponevano i lavoratori a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno". Anche privi di documenti. Come Mateo, 40 anni e una nuova vita con un permesso di soggiorno e un lavoro stabile, che per due anni e mezzo ha vissuto con tre anziani, che accudiva senza sosta, ai quali dava anche farmaci: "Ognuno aveva la sua scatolina – ricorda – e io dovevo dargli le medicine agli orari giusti". Mateo era anche il cuoco della struttura, ogni giorno cucinava per dieci persone. Tra le accuse mosse ai due coniugi, c’è anche quella di aver utilizzato abusivamente sistemi di videosorveglianza interna, e più in generale di aver "sottoposto i lavoratori a metodi di sorveglianza e situazioni alloggiative degradanti, costringendoli a riposare su un divano o in giacigli provvisori, e a restare svegli per tutta la notte, anche per vigilare sull’incolumità degli anziani ospiti della struttura". Ma anche di aver violato "la normativa sugli orari di lavoro, imponendo di lavorare per sei giorni continuativi, corrispondendo retribuzioni sproporzionate rispetto alla quantità e qualità di lavoro prestato".