La ‘ndrangheta in Lombardia sfrutta una “fama criminale decennale” e “nuove reclute”

La sentenza dell’inchiesta “Cavalli di razza” descrive molto bene quanto è radicato il crimine di stampo mafioso nella regione

La 'ndrangheta in Lombardia è oggetto di numerose inchiesti recenti

La 'ndrangheta in Lombardia è oggetto di numerose inchiesti recenti

In pochi posti al mondo la ‘ndrangheta è così presente quanto in Lombardia. Ed è talmente radicata nel territorio da far dire alla giudice Lorenza Pasquinelli che il gruppo criminale di Fino Mornasco – un comune di diecimila anime in provincia di Como – è stato capace di “sfruttare la forza di intimidazione derivante dalla fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico ed originario insediamento”. In altre parole, da quel Paese il crimine di stampo mafioso ha allungato le sue mani per anni e anni.

Quella di Fino Mornasco era una “locale”, ovvero una delle principali strutture attraverso cui la ‘ndrangheta si organizza in un territorio: composta da un capobastone, un contabile, un crimine e almeno 49 affiliati. A dicembre 2020, nell’inchiesta chiamata “Cavalli di Razza”, 34 tra ‘ndranghetisti e loro complici sono stati condannati a vario titolo – tra giudici abbreviati e patteggiamenti – ad un totale di duecento anni di reclusione.

La “locale” di Fino Mornasco

L’indagine è stata condotta dalla Direzione distrettuale antimafia e si è strutturata a partire da alcune frodi finanziarie messe in pratica per finanziare l’attività criminale mafiosa. Nella sentenza di condanna scritta dalla giudice dell’udienza preliminare Pasquinelli si legge quanto sia “emerso in maniera inequivocabile" che la “locale” di Fino Mornasco “non sia che la continuazione storica, personale, familiare e territoriale del precedente contesto mafioso, di cui era già stata accertata con le sentenze ‘La notte dei fiori di San Vito’ e ‘Insubria’, l'esistenza pacifica”.

L’organizzazione di Fino Mornasco era compagine caratterizzata “dalla convivenza di più gruppi criminali (con azioni, interessi e organizzazioni parallele e solo in parte sovrapponibili) ugualmente ma unitariamente capaci di sfruttare la forza di intimidazione derivante dalla fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico ed originario insediamento”.

Il crimine trova “nuove reclute”

Le motivazioni della sentenza affermano che il mutamento della 'ndrangheta in Lombardia ha “portato ad un arricchimento del panorama umano di riferimento, posto che le locali si compongono non solo di personalità mafiose già note, ma anche di nuove generazioni, nuove reclute e, soprattutto, nuovi meccanismi osmotici rispetto al contesto storico e geografico di riferimento”.

Tutto questo, scrive la giudice Pasquinelli, genera “situazioni, anche nuove, caratterizzate da una mescolanza di strumentalizzazione del metodo e della matrice mafiosa con il perseguimento di obiettivi criminali più comuni”.

La ‘ndrangheta in Lombardia

Da tempo, in Lombardia, non si parla più di “infiltrazione” della ‘ndrangheta, ma di “radicamento”, cioè di una presenza stabile, costante e integrata nel tessuto politico, sociale ed economico. Il boom nella vendita e nel consumo di cocaina nella regione, ad esempio, è legato a stretto giro con la presenza della ‘ndrangheta. L’organizzazione controlla i maggiori depositi di stoccaggio di droga d’Europa ed è la più influente nel traffico della cocaina proveniente dal Sud America.

Da tempo, l’autorità giudiziaria ha accertato la presenza “inequivocabile” di cosche a Milano, Bollate, Cormano, Pavia, Corsico, Mariano Comense, Seregno, Giussano, Desio, Rho, Pioltello, Legnano, Erba, Bresso, Limbiate, Canzo, Solaro, Fino Mornasco, Cermenate e Calolziocorte.

Presto inizierà il processo nei confronti di 47 persone arrestate nell’inchiesta contro la ‘ndrangheta di Rho. Gli imputati sono accusati di aver provato a ricostruire una locale attraverso vari metodi intimidatori, la riscossione del pizzo e il traffico di armi e cocaina unito a una moderna imprenditoria. Tra gli imputati ci sono anche il presunto capo Gaetano Bandiera, di 74 anni, e Caterina Giancotti, la donna ritenuta suo “braccio destro”.