Mozzate, morto il killer spietato diventato come un bimbo di 8 anni. Chi era Dritan Demiraj

Condannato all’ergastolo per il duplice omicidio della ex e del suo nuovo compagno, nel 2017 era stato dichiarato “incapace di intendere e volere”, tornando formalmente libero

Tre protagonisti di questa storia nerissima: Silvio Mannina, Dritan Demiraj e Lidia Nusdorfi

Tre protagonisti di questa storia nerissima: Silvio Mannina, Dritan Demiraj e Lidia Nusdorfi

Mozzate, 28 aprile 2024 – Giovedì scorso ha chiuso gli occhi per sempre, lì nella stanza del reparto Geriatria dell’ospedale di Parma che occupava stabilmente da otto anni, da quando cioè la sua mente era regredita a quella di un bambino per via dei danni cerebrali subiti dopo una brutale aggressione in carcere. È morto, all’età di 39 anni, Dritan Demiraj.

Chi era

Il “killer del lago Azzurro” era stato condannato all’ergastolo per un duplice omicidio: quello di Silvio Mannina, che aveva torturato e ucciso la sera del 28 febbraio del 2014, dopo averlo attirato in una trappola a Rimini con la complicità dell’amante Monica Sanchi; e quello dell’ex compagna e madre dei suoi figli, Lidia Nusdorfi, massacrata il giorno seguente con 11 coltellate nel sottopasso della stazione di Mozzate, nel Comasco.

Da tempo, ormai, il suo aspetto era molto diverso da quello del giovane dal sorriso beffardo immortalato dai fotografi dietro il vetro della cella blindata del tribunale di Rimini, all’epoca del processo. Demiraj stentava oramai a riconoscere persino i parenti e non ricordava più nulla, né di Mannina - che aveva torturato a morte prima di sbarazzarsi del suo cadavere gettandolo nella palude del Lago Azzurro di Santarcangelo - né di Nusdorfi e di tutti gli altri protagonisti di una storia dalle tinte macabre che scosse nel profondo Rimini, la Lombardia, che pianse due vittime, e l’Italia intera.

Il pestaggio

Nell’aprile del 2016 l’ex pasticcere albanese era finito in coma dopo essere stato pestato a sangue con pugni e calci da un ex pugile romeno, nei corridoi del carcere di Parma in cui stava scontando l’ergastolo per duplice omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere, violenza privata, rapina e porto abusivo di coltello.

A causa delle sue condizioni cliniche irreversibili, il killer era stato dichiarato "incapace di intendere e volere": nel 2017 era così tornato formalmente libero, dopo che la Corte di Assise d’Apppello di Bologna, applicando alla lettera la riforma Orlando, aveva sentenziato per lui il "non luogo a procedere". Per i familiari di Demiraj (che era difeso dall’avvocato Massimiliano Orrù del foro di Rimini) potrebbe ora aprirsi la strada di una possibile richiesta di risarcimento per il pestaggio subito in carcere.

Una storia nera

Anche Dritan, come già Monica Sanchi, ha dovuto fare i conti con un destino cinico, quasi una sorta di maledizione, che sembra perseguitare gli attori e i comprimari di questa dark story. L’ex amante di Demiraj era stata condannata a 30 anni di carcere: nel 2019, una neoplasia al midollo spinale se l’è portata via dopo averla confinata a letto in stato di paralisi.

"Non sono un mostro, non giudicatemi troppo severamente" aveva implorato, prima di morire. Giurando che se fosse tornata indietro, avrebbe impedito a Dritan di massacrare due persone. "La mia maledizione è stata quella di incrociare la sua strada. Di averlo amato" aveva detto. Sadik Dine, lo zio di Dritan, sta scontando una condanna all’ergastolo nel carcere di Ferrara, diventata definitiva in Cassazione dopo che la Corte d’Appello aveva ribaltato la condanna di primo grado a cinque anni per occultamento di cadavere. L’ex pescatore ha sempre sostenuto di essersi limitato ad aiutare il nipote a sbarazzarsi del cadavere di Mannina, ma secondo la testimonianza di Sanchi avrebbe partecipato attivamente al delitto. Ventotto anni è invece la pena inflitta al quarto protagonista della vicenda, un amico di Demiraj, all’epoca dei fatti minorenne, che si è sempre professato innocente.

La doppia vendetta

In quell’inverno del 2014 Demiraj aveva consumato la sua vendetta nei confronti della ex compagna, Lidia, e del nuovo amore della donna, Silvio. Dopo aver aver convinto la sua amante ad attirare Mannina, milanese di Castano Primo, a Rimini, aveva legato e torturato l’uomo a morte e aveva poi usato il suo cellulare per dare appuntamento a Lidia.

La donna, originaria di Garbagnate Milanese e rifugiatasi a Mozzate proprio per sfuggire all’ex, andò all’incontro nel sottopasso della stazione convinta di vedere Silvio, invece si era trovata di fronte al suo incubo. Dritan l’ammazzò con 11 coltellate. Rintracciato dai carabinieri a Rimini, rivelò il primo delitto, facendo ritrovare il corpo di Mannina.