Mille islamici in marcia a Cantù "No all’esproprio della sede"

Manifestazione nella città che ha fatto dello stop alla moschea il suo slogan. Il sindaco: "Legge violata"

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di Roberto Canali

Donne con il velo accanto ai mariti vestiti con la tunica o all’occidentale, anche perché la maggior parte di loro ha in tasca una carta d’identità italiana e ha messo su casa in città, poi i tanti ragazzi e bambini che nel nostro Paese ci sono nati e l’arabo lo imparano dopo la scuola, nei lunghi pomeriggi in cui i fratelli più grandi correggono loro anche i compiti. C’era decisamente ben poco di sovversivo nel lungo corteo, almeno mille persone o addirittura il doppio per gli organizzatori, che ieri hanno attraversato le vie di Cantù invocando il diritto al rispetto dei diritti civili e la libertà di culto. Anzi sono stati loro a invocare il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione di fronte al Comune che adesso è pronto anche a espropriare il capannone al numero 127D di via Milano che da anni è diventata la loro sede, con tanto di rogito e 850mila euro versati per l’acquisto, perché al suo interno si prega. Secondo la Lega che da oltre un decennio ha trasformato la questione in uno dei suoi cavalli di battaglia, tanto da aver fatto del refrain “No alla moschea“ lo slogan di almeno un paio di campagne elettorali, si tratterebbe di un’attività quasi esclusiva, secondo gli islamici farebbe da corollario a tutte le altre attività, un po’ come capita negli oratori quando ai bambini si fanno dire le preghiere prima di metterli a giocare. Di sicuro non è un gioco l’odissea giudiziaria che ormai da anni vede contrapposti associazione e Comune. "In nessuna sede ed in nessuna circostanza È stata messa in discussione la libertà di culto di alcuno – la risposta del sindaco, Alice Galbiati, arrivata attraverso un comunicato diffuso in mattinata – Questo argomento è utilizzato sono confondere di fronte alla violazione accertata della legge. Il Tar Lombardia nel 2018 ed il Consiglio di Stato nel 2021 hanno decretato in via definitiva che l’Associazione culturale Assalam utilizza abusivamente il capannone di Via Milano come luogo di culto, contrariamente a quanto previsto dalle destinazioni d’uso consentite". Non solo, il Comune "non può sottrarsi all’applicazione di queste sanzioni" e per ironia della sorte "l’atto comunale con il quale è stato accertato l’utilizzo abusivo dell’immobile risale al 2017 sotto l’amministrazione Lavori In Corso che oggi con molti dei suoi esponenti è a supporto dell’Associazione Assalam". La marcia di ieri, anche se molto partecipata, difficilmente farà cambiare idea al Comune.