Casinò di Campione, ascesa e crac tra mille veleni

Nella sede da 120 milioni sparito un mare di soldi

Il Casinò Campione d'Italia

Il Casinò Campione d'Italia

Campione d'Italia (Como), 29 luglio 2018 - Non è mai stato un mistero che Campione d’Italia negli ultimi anni galleggiasse su un mare di debiti. Il peccato originale, secondo molti, è da ricercare nei costi per la costruzione del nuovo casinò, inaugurato il 9 maggio del 2007, la casa da gioco più grande d’Europa voluta da Roberto Salmoiraghi nel corso del suo primo mandato. Alto 9 piani e con una superficie di 55mila metri quadri il Casinò di Campione costruito dall’archistar ticinese Mario Botta da allora è uno schiaffo per i dirimpettai di Lugano, oltre che un concorrente agguerrito per tutte le case da gioco del Canton Ticino. Doveva costare 140 milioni di franchi svizzeri, ma la spesa complessiva salì a 193 milioni, 120 milioni di euro. Allora gli incassi andavano a gonfie vele, ma per costruirlo fu necessario indebitarsi e contrarre un mutuo negli anni divenuto sempre più oneroso per la crisi del gioco d’azzardo e per la svalutazione legata al rapporto di cambio tra euro e franco svizzero. Campione d’Italia infatti si trova in pieno Canton Ticino e qui gli acquisti, le utenze e i fornitori si pagano con la divisa elvetica, mentre gli incassi in buona parte sono in euro, visto che i giocatori di riferimento provengono da Lombardia, Veneto e Piemonte. 

Eppure fino a un anno fa il sistema reggeva, il casinò era arrivato a essere il secondo in Europa per incassi e il primo Italia per numero di clienti, generando un fatturato al di sopra dei 90 milioni di euro l’anno. «Ho amministrato Campione dal 2007 alla metà del 2017 e per dieci anni abbiamo cercato, se pur tra mille difficoltà di trovare una situazione di equilibrio – spiega l’ex-sindaco, Maria Rita Piccaluga –. Se in un anno è crollato tutto lo si deve all’incapacità dimostrata dall’attuale amministrazione e da un sindaco, Roberto Salmoiraghi, che ha pensato più a dividere che a guidare il paese. Lo dico con grande dolore perché Campione d’Italia è il mio paese e mai nella sua storia avevo visto un momento così. Il casinò è stato chiuso solo un’altra volta, nel lontano 1983 e lo rimase per due mesi a causa di infiltrazioni mafiose. Questa volta è anche peggio, non ho mai visto la mia gente così divisa, stiamo vivendo un momento difficilissimo». Nei prossimi giorni i tre curatori fallimentari nominati dal Tribunale di Como guarderanno all’interno dei 132 milioni di debiti della casa da gioco e dovranno decidere se riaprire avvalendosi dell’esercizio provvisorio o confermare la chiusura. «Spero che riaprano, come tutti qui a Campione – prosegue l’ex-sindaco –. Il casinò come tutto il sistema Campione è stato messo in crisi dal cambio, ma grazie all’aiuto del Governo negli ultimi anni abbiamo ottenuto 15 milioni di euro di fondi per riequilibrare il sistema. Piuttosto è stata la cura Salmoiraghi a peggiorare la situazione: con i debiti si può convivere, basta saperli gestire e durante la mia amministrazione siamo sempre riusciti a pagare anche gli stipendi in Comune».

Invece il sindaco con le sue sparate e l’idea di riconvertire il debito in obbligazioni, progetto che nessuna banca ha avallato, ha contribuito a generare un clima di confusione e far scappare i clienti. Quest’anno gli utili sono scesi del 12% e senza incassi diventa più difficile far fronte alle spese». Un clima da tutti contro tutti che ha spinto il segretario della Cgil di Como, Giacomo Licata, a chiedere al prefetto Ignazio Coccia e al Ministero dell’Interno di intervenire al più presto, paventando un «preoccupante silenzio della politica». A gelare le speranze di molti è intervenuto, a stretto giro di posta, il sottosegretario al Viminale, il leghista Nicola Molteni tra l’altro eletto proprio in provincia di Como, secondo il quale «non sussistono soluzioni politiche percorribili». Insomma Campione questa volta deve arrangiarsi da solo: ironia della sorte al Casinò nessuno sembra più disposto a concedere credito.