Porlezza, incastrato da una traccia di Dna: assolto dopo 13 mesi di carcere

L’uomo era ritenuto uno dei responsabili dell ’aggressione a una coppia di anziani di Porlezza

Al termine del processo il trentaseienne è stato immediatamente rimesso in libertà

Al termine del processo il trentaseienne è stato immediatamente rimesso in libertà

Porlezza (Como) - In carcere , a fine gennaio 2021, era finito per una traccia di Dna trovata sul nastro isolante usato per immobilizzare la coppia di anziani rapinati. Ma ieri Mustafa Kabashi, 36 anni di Porlezza, è stato prosciolto dall’accusa e immediatamente scarcerato dopo più di un anno trascorso al Bassone, durante il quale non ha mai smesso di dichiararsi estraneo a quella rapina.

Era ritenuto uno degli autori dell’aggressione a una coppia di anziani, 87 anni lui e 81 lei: due uomini, armati di una pistola e un coltellino, si erano introdotti nell’adiacente la rivendita di materiali edili De Maria, in via Cuccio, spaccando un vetro. Avevano preso a calci l’uomo, colpendolo al viso e al torace, e legato a una sedia con nastro adesivo, coprendogli occhi e bocca, mentre si facevano consegnare dalla moglie 750 euro, dicendole che avevano tagliato una mano al marito e che li avrebbero portati in un bosco.

La traccia isolata un anno dopo sul quel nastro adesivo aveva motivato l’ordinanza di custodia cautelare revocata solo ieri, contestualmente all’assoluzione. Durante il dibattimento, è stato spiegato che il rotolo proveniva da un magazzino dove Kabashi andava abitualmente e che il Dna era contaminato da più profili, nessuno identificato oltre al suo. Altre incertezze sono emerse al dibattimento: il telefono dell’imputato la sera della rapina agganciava la cella in cui si trova l’abitazione, ma Kabashi aveva sempre detto di trovarsi a casa sua, che dista solo poche decine di metri da quella degli anziani. Una vittima aveva poi parlato di corporatura e andatura simili a quelle dell’imputato, salvo poi non mostrare la stessa certezza durante la testimonianza. Esiti processuali tali da impoverire il quadro indiziario e spingere il Tribunale Collegiale a prosciogliere l’imputato e a non accogliere la richiesta del pm a 7 anni di reclusione. "Avevamo fiducia che sarebbe emersa la verità e l’estraneità di Kabashi – commenta il difensore, Emanuele Rosapinta – È una persona onesta, come è emerso anche nel procedimento".