PAOLA PIOPPI
Cronaca

Cristina Mazzotti, sequestrata e uccisa: 49 anni dopo il faccia a faccia in aula tra imputati e famiglia

Como, la 18enne rapita nel 1975: via al processo per i quattro esecutori materiali. Gli attivisti dell’associazione Libera in tribunale: “Non la dimentichiamo”

Cristina Mazzoti e Antonio Talia, uno degli imputati per l'omicidio della giovane

Cristina Mazzoti e Antonio Talia, uno degli imputati per l'omicidio della giovane

Como, 25 settembre 2024 –  Faldoni processuali mancanti, qualche disordine di conservazione degli atti di indagine del 1975, rincorsi con difficoltà quando la vicenda del rapimento e omicidio di Cristina Mazzotti è stata riaperta nel 2006 e poi ancora nel 2022, e il tentativo di estromettere dal processo una parte civile. Tutte richiesta rigettate, che ieri hanno consentito alla Corte d’Assise di Como – Carlo Cecchetti presidente, Maria Elisabetta De Benedetto a latere – al termine di un lungo pomeriggio, di aprire il processo agli ultimi quattro imputati del tragico sequestro, avvenuto la notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1975. Il gruppo ritenuto esecutore materiale del sequestro, gli uomini che avevano fermato la Mini Minor.

Imputati sono Demetrio Latella, 70 anni di Reggio Calabria (difeso dagli avvocati Maurizio Antoniazzi e Federica Barbero), Giuseppe Calabrò, 74 anni di San Luca (avvocati Ermanno Gorpia e Pier Massimo Marrapodi), che era presente in aula assieme al coimputato Antonio Talia, 73 anni di Africo (avvocato Francesco Maria Nucera). Avrebbero agito a bordo di un’Alfa Romeo Giulia messa disposizione da Giuseppe Morabito, 80 anni di Africo (avvocato Maria Criaco), con cui avevano bloccato la Mini su cui viaggiava la ragazza con due amici, portandola fino ad Appiano Gentile, dove erano in attesa gli altri complici che avevano preso in consegna la diciottenne. Parti civili si sono costituiti Vittorio e Marina Mazzotti, fratello e sorella di Cristina, con gli avvocati Fabio Repici ed Ettore Zanoni.

Ma questo processo, dopo la raffica di condanne, oramai definitive, arrivate nel 1977, con parecchi ergastoli, era stato archiviato per ciò che riguardava i soggetti mai identificati, tra cui appunto gli esecutori materiali del sequestro, a cui si era arrivati solo nel 2006, quando un cervellone del sistema centrale dell’Afis di Roma, che cataloga le impronte digitali repertate sui luoghi in cui vengono commessi reati rimasti irrisolti, e le compara con quelle dei tanti arrestati, aveva restituito un nome: Demetrio Latella. A quel punto erano ripartitele indagini, condotte dalla Squadra Mobile di Milano e giunte alla Dda. A sostenere l’accusa ora è il pubblico ministero Cecilia Vassena. A chiedere una serie di nullità, è stata la difesa di Calabrò, in considerazione di alcuni faldoni processuali e album di riconoscimento fotografico che negli anni sono andati dispersi: carenze ritenute penalizzanti per la difesa. Ma la Corte d’Assise, accogliendo le argomentazioni di Procura e parti civili, ha ritenuto che tali carenze costituissero un «fatto neutro»; nessuna parte potrà trarre vantaggio dalla mancanza di tali atti.

Allo stesso modo, è stato rigettato il tentativo di estromettere dal processo la parte civile Vittorio Mazzotti, per una presunta imprecisione in un atto, che la Corte non ha ritenuto tale. Si entra quindi nel vivo del processo tra tre settimane, quando saranno chiamati i primi testimoni che dovranno, con grande fatica, ricordare fatti di 49 anni fa. Ma quelle indagini svolte nell’immediatezza, nel frattempo sono state rinnovate e integrate da nuove testimonianze e nuove risorse tecnologiche a disposizione degli inquirenti. In aula, tra il pubblico, erano presenti, oltre a una rappresentanza della famiglia, anche alcuni giovani dell’associazione Libera di Milano, “per non dimenticare Cristina”.