Cristina Mazzotti, sequestrata e uccisa a 18 anni nel 1975: via al nuovo processo. La sorella: “Nessun perdono”

Al via il nuovo processo sul caso dell’estate del 1975. La sorella Marina: "Da allora abbiamo fatto di tutto per proteggere la mamma"

Cristina Mazzotti

Cristina Mazzotti

Eupilio (Como) – Quarantotto anni dopo. Una sorella strappata alla famiglia, agli affetti, a tutte le promesse che può fare la vita. Cristina Mazzotti ha diciotto anni quando viene sequestrata, la notte del primo luglio del 1975, mentre sta rientrando nella villa di famiglia, a Eupilio, nel Comasco, in compagnia del fidanzato e di un’amica. La famiglia versa un riscatto di un miliardo e 50 milioni di vecchie lire. Il primo settembre una telefonata anonima fa ritrovare il corpo senza vita in una discarica a Galliate (Novara). In tribunale a Milano è iniziata l’udienza preliminare che, fra ideatori ed esecutori, vede imputate quattro persone. Marina Mazzotti è la sorella maggiore di Cristina.

Signora Mazzotti, prima ancora di chiederle cosa si attende, le chiediamo se si attendeva la riapertura del caso.

"Un avvocato ha contattato mia nipote, vice presidente della Fondazione Cristina Mazzotti, e l’ha avvertita di questi personaggi. Da lì abbiamo iniziato a seguire. Siamo parti civili. Ormai, dopo il processo fatto all’epoca, non pensavamo che ci sarebbero stati nuovi sviluppi. Mai avremmo pensato che tutto ricominciasse".

Aspettative?

"Vogliamo giustizia. Hanno fatto danni a tutta la nostra famiglia, non solo ai miei genitori, ai noi fratelli, ma anche agli zii, ai cugini. Eravamo e siamo una famiglia molto unita. Abbiamo sofferto tutti insieme. Sono passati tanti anni. Questi uomini erano giovani come lo eravamo noi, ma è giusto che paghino per quello che hanno commesso. Il nostro modo di vedere la vita, la nostra indole, sono sempre rivolti al perdono, ma per questo no. Anni fa lo ha chiesto uno del gruppo di quelli condannati. Con mio fratello Vittorio abbiamo deciso di no. Pensiamo che si debba fare giustizia anche se è trascorso tanto tempo. Bisogna credere nella giustizia. Io ci credo. Noi crediamo nella giustizia".

Quarantotto anni. Quasi mezzo secolo. Come lo ha vissuto?

"Proteggendo mia madre. Mio fratello e io abbiamo fatto ogni possibile sforzo. Non le abbiamo detto di quella domanda di perdono. L’abbiamo sempre protetta come una bambina. Aveva sofferto in modo indicibile. In casa evitavamo di parlare dell’accaduto. I figli miei e quelli di mio fratello non sapevano nulla. Mio padre, prima di morire, ci aveva raccomandato: ‘Allevate i vostri figli nell’amore del prossimo’. Mia nipote ha saputo di Cristina da un’altra bambina di Eupilio. Allora con mio fratello abbiamo deciso che era il momento di raccontare qualcosa. I ragazzi sono andati a informarsi, hanno consultato i giornali dell’epoca. Ancora oggi, che ha quarantadue anni, mia figlia me lo dice: ‘Mamma, non me ne hai mai parlato’".

Come vi arrivò la notizia del sequestro?

"Ero in Argentina con mio padre. Mi ha chiamato in ufficio. Piangeva. Ho pensato a mia mamma, a un incidente. La mattina dopo abbiamo preso il primo aereo. Ero incinta e non avevo ancora informato mio padre. L’ha saputo in aeroporto quando ho presentato i vari certificati sanitari. Siamo arrivati a Eupilio. È iniziato il calvario. I rapitori non ci telefonano a casa. Chiamavano un amico di mia sorella e mio fratello andava da questo ragazzo. Gli amici ci si sono stretti attorno, hanno fatto scudo attorno a mio padre. Abbiamo ricevuto grandi manifestazioni di affetto. A pagare il riscatto sono andati mio zio e un amico di papà. È nata allora mia nipote Arianna. L’amo moltissimo perché è arrivata in un periodo di grande tristezza. È una nipote speciale".

Come ricorda Cristina?

"Aveva undici anni meno di mio fratello e otto meno di me. Era la nostra bambina, la piccolina di casa. L’abbiamo tirata grande un po’ tutti. Molto intelligente e molto diligente. Molto più diligente di mio fratello e di me".

Il vostro ultimo incontro.

"Abbiamo passato il Natale del 1974 tutti insieme in Argentina. Cristina era venuta con Manuela, l’amica che era con lei anche quella sera".

Se fosse vissuta oggi che donna sarebbe?

"Avrebbe fatto una certa carriera nel lavoro. Avrebbe la sua famiglia. Amava i bambini. Era felice quando noi aspettavamo i nostri".

La sente vicina?

"Sempre. Tante volte le dico: ‘Guarda giù, dammi una mano’. Lo dico a lei e a mio padre: ‘Ho bisogno di voi. Guardate giù’".

Cristina vive nella Fondazione che porta il suo nome.

"L’aveva voluta mio padre. Per i giovani. Per quelli in difficoltà, per quelli che hanno avuto esperienze negative. Per aiutarli a inserirsi nella società. Per dare una speranza. Siamo esseri umani, certe cose non si perdonano Però, se tutti pensassero come mio padre, che nel momento di maggiore tristezza pensò a risolvere il problema alla radice e a mettere il proprio granello con la Fondazione, il mondo sarebbe più giusto. Mia nipote Arianna onora il messaggio di mio padre portando avanti la Fondazione".