Caso Schenker, c’è anche un mafioso comasco

La costola italiana del colosso tedesco della logistica in amministrazione giudiziaria per rapporti fra manager e Nicola Bevilacqua

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Un carico da 30 chili di cocaina sequestrato a marzo 2020 a Dover, dalla polizia di frontiera inglese, nascosto tra i bancali di generi alimentari che due giorni prima erano partiti dalla filiale di Guanzate della Schenker Italiana. Le indagini, proseguite in Italia dai carabinieri del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Como, in breve tempo si erano concentrate su Nicola Bevilacqua, settantenne di Rovellasca, amministratore di fatto della Fiuto Autotrasporti che svolgeva consegne per la stessa Schenker. Arrestato nel 2003 dalla Procura di Catanzaro, è andato incontro a una condanna a cinque anni di reclusione, per associazione di stampo mafiosa ed estorsione in quanto affiliato alla ‘ndrina Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia.

I rapporti commerciali con Bevilacqua, sono esattamente il motivo che ha portato la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano a disporre l’amministrazione giudiziaria, come previsto dal Codice Antimafia e chiesto dalla Dda, nei confronti della Schenker Italia: riconoscendo una "condotta quanto meno gravemente negligente, per omesso controllo, posta in essere da esponenti della società muniti di potere decisionale che hanno intessuto e mantenuto stabili rapporti d’affari con Nicola Bevilacqua, agevolandone l’attività, benché sia stato condannato irrevocabilmente". Dalle indagini erano emersi subito i rischi di "una strumentalizzazione dell’attività di Schenker Italia a interessi delittuosi, con il rischio concreto di agevolare, anche indirettamente, un intero orizzonte di attività, o esserne condizionata". Il profilo di Bevilacqua emerge dalle motivazioni della sua condanna in Calabria: risulta infatti che abbia agito per conto della ‘ndrina realizzando estorsioni a partire dal 1998, esattamente nel settore dell’autotrasporto, lo stesso in cui lavora Schenker Italia.

In Calabria, Bevilacqua per anni aveva costretto gli altri imprenditori del settore operativi in quell’area, a rinunciare alla gestione delle attività, per agevolare l’impresa della sua ‘ndrina di riferimento, la Miniero Trasporti. Risultati ottenuti con minacce che avevano indotto gli autotrasportatori a convogliare le loro commesse verso la gestione della Miniero, con il risultato di pagare al clan una percentuale di quanto incassavano e una conseguente "sottrazione di ogni capacità contrattuale". Il rischio "concreto" ora, secondo gli investigatori sarebbe che anche in Schenker e ancora oggi, Bevilacqua volesse replicare lo "schema operativo che anni prima aveva assicurato l’assoggettamento degli autotrasportatori al clan Mancuso". Paola Pioppi