Mariano Comense, sette case di riposo abusive

Anziani disabili affidati anche a clandestini. Caporalato sanitario, primi due arresti in Italia

L'esterno della casa di riposo abusiva a Mariano Comense (Cusa)

L'esterno della casa di riposo abusiva a Mariano Comense (Cusa)

Mariano Comense (Como), 24 marzo 2019 - Lavoratori in nero senza qualifica, sette strutture inadeguate e non abilitate, 29 anziani degenti, alcuni con patologie sanitarie importanti, le cui famiglie pagavano rette dimezzate rispetto alla media. Al termine di una verifica durata tre giorni, i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Como hanno arrestato i due gestori: Salvatore Valenti, 43 anni, e la convivente Anjela Bostan, 34 anni. Sono accusati di sfruttamento del lavoro: in altre parole, di caporalato in ambito sanitario.

Due appartamenti in viale Lombardia e cinque in via Isonzo, gestiti dall’associazione Convivendo, in ognuno dei quali erano dislocati tre o quattro anziani, sono finiti sotto sequestro preventivo. Persone in alcuni casi non autosufficienti, che necessitavano di assistenza sulle ventiquattro ore. Gli accertamenti iniziali sono stati fatti da Nas e Ats Insubria, che hanno chiesto l’intervento dell’Ispettorato quando sono comparsi i primi problemi sulla situazione dei dieci dipendenti. È così emerso che le otto donne e i due uomini impiegati senza contratto all’interno delle residenze – otto di origine moldava, una romena e un georgiano – non avevano qualifiche per le mansioni svolte, erano privi di formazione e di visita sanitaria obbligatoria. Sei di loro inoltre non avevano permesso di soggiorno, entrati in Italia con un visto turistico e rimasti a lavorare. Tutti erano alloggiati all’interno della struttura o in un appartamento messo a disposizione dai gestori, che fornivano anche il vitto.

I carabinieri del Nil, per arrivare alle contestazioni di sfruttamento del lavoro, hanno calcolato le retribuzioni dei dieci stranieri: una media di 50 euro al giorno, per un servizio sulle ventiquattro ore, pari a 2 euro all’ora. Nettamente al di sotto di quanto previsto da qualunque contratto nazionale. Inoltre ferie, riposi e malattie non erano retribuiti. Oltre alla contestazione di sfruttamento, che ha portato in carcere i due gestori, l’attività è stata chiusa per lavoro nero, mentre il sequestro degli immobili è stato motivato dalla mancanza di requisiti. Le rette, però, erano convenienti: circa 1.200 euro al mese, la metà rispetto al normale. Nel frattempo, i 29 degenti sono stati collocati in altre strutture dall’Ats e dai Servizi sociali. È la seconda attività di questo genere scoperta nel Comasco dai carabinieri, dopo quella di Pianello del Lario dello scorso anno. Si tratta però dei i primi due casi di caporalato sanitario in Italia.