Sette comaschi nell’inferno del Burkina Faso

Ci sono anche sette comaschi bloccati nell’inferno del Burkina Faso, sull’orlo di una guerra civile dopo il golpe militare dei giorni scorsi. In quello che un tempo era l’Alto Volta e che nel 1983 cambio nome diventando “Il Paese degli uomini integri”, solo la povertà non è mai venuta meno di Roberto Canali

Olivia Molteni Piro

Olivia Molteni Piro

Como, 1 novembre 2014 -  Ci sono anche sette comaschi bloccati nell’inferno del Burkina Faso, sull’orlo di una guerra civile dopo il golpe militare dei giorni scorsi. In quello che un tempo era l’Alto Volta e che nel 1983 cambio nome diventando “Il Paese degli uomini integri”, solo la povertà non è mai venuta meno. L’aveva testimoniato in più occasioni Olivia Molteni Piro, la sessantatreenne attivista comasca rimasta bloccata con altri sei compagni oggi prigioniera di quel Paese che negli ultimi trent’anni era diventato la sua Africa. Sposata con Luciano e madre di sei figli, quattro dei quali adottati, Olivia pur essendo insegnante non ha mai trascorso nemmeno un’ora in una classe.

Le sue aule sono state le strade e le povere capanne dei villaggi e delle favelas, impegnata ad aiutare quei bimbi e quelle bimbe che la povertà e la fame avevano trasformato troppo presto in adulti. La donna era partita la scorsa settimana per il Burkina Faso con il gruppo di volontari comaschi per realizzazione una scuola per bambini portatori di disabilità finanziato dall’Associazione Kibarè. Il gruppo è stato sorpreso dal precipitare degli eventi mentre si trovava nella capitale Ouagadougou, dove per giorni la popolazione ha occupato vie e piazze per protestare contro una modifica costituzionale che avrebbe permesso allo storico presidente Blaise Compaoré di ricandidarsi, e di essere rieletto. Il presidente era al governo del Paese africano dal 1987 in seguito ad un altro colpo di Stato che portò all’uccisione di Thomas Sankarà, conosciuto anche come “il Che Guevara africano”.

A ristabilire l’ordine, come allora, ci hanno pensato i militari che hanno occupato il Paese, anche se gli animi non sembrano essersi placati. Nella capitale e in molte città si susseguono violenti scontri tra le truppe governative e i manifestanti, che si lanciano armati di pietre e bastoni contro la polizia al grido “Compaoré è come l’ebola”. Con gli aeroporti occupati e tutti i voli cancellati è praticamente impossibile abbandonare il Paese, mentre gli Stati confinanti temendo l’arrivo della popolazione in fuga hanno chiuso i confini.

I sette comaschi, che ieri sono riusciti a comunicare con i loro familiari, hanno spiegato di essere riusciti a fuggire nel sud del Paese a Banfora assicurando di essere per ora al sicuro. Volontari del progetto di cooperazione partito dal Lario, due di loro erano giunti per la prima volta in Burkina Faso con l’intenzione di adottare un bambino. Adesso come gli altri attendono di poter tornare in Italia, non appena la Farnesina che sta seguendo la crisi internazionale riuscirà a ottenere le autorizzazioni necessarie per il rientro degli oltre duecento italiani che attualmente si trovano nel Paese africano.