
Bitto e sospetti “tarocchi“ Sotto la lente mail e carte
L’indagine della Procura di Sondrio su una presunta contraffazione del formaggio Bitto, il re dei formaggi della Valtellina, ad opera di pochi dei produttori iscritti al circuito della Dop procede spedita verso la conclusione. È in corso l’analisi della corposa documentazione cartacea, la lettura dei carichi di mangime annotati sui registri di alpeggio e anche quella dei numerosi messaggi whattsapp, delle mail, dei consigli impartiti agli allevatori sulla sospetta gestione cartolare dei documenti, sulle accertate tecniche adottate nella rendicontazione contabile, grazie a volontarie omissioni nella fase di registrazione dei prodotti commercializzati per aggirare i requisiti previsti dal Disciplinare di produzione relativamente ai criteri utilizzati nell’alimentazione delle bovine in lattazione e, inoltre, per aggirare il sistema di controlli organizzato dalla struttura creata a tutela del Bitto Dop.
Nelle scorse settimane il procuratore Piero Basilone e il sostituto Stefano Latorre, titolari dell’inchiesta, avevano disposto sette perquisizioni ai domicili e alle sedi delle aziende di imprenditori agricoli, delegando i funzionari dell’Icqrf (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari) della Lombardia e i militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Sondrio. Nelle prime indagini, risalenti al 2022, gli investigatori avevano acquisito i primi indizi della presunta contraffazione del formaggio “Bitto Dop” che sarebbe avvenuta attraverso la somministrazione di mangime in quantitativi eccedenti (talvolta la difformità avrebbe riguardato anche la qualità) rispetto a quanto previsto dal Disciplinare di produzione.
È chiaro che, in fase di indagine preliminare, in attesa pure di eventuali contestazioni formali di ipotesi di reato, sarebbe errato trarre affrettate conclusioni di responsabilità.
Ecco chi sono stati i destinatari dell’informazione di garanzia, consegnata contestualmente alle perquisizioni, un provvedimento giudiziario che non equivale assolutamente a un giudizio di colpevolezza per chi lo ha ricevuto. C’è chi opera, ad esempio, a Prata Camportaccio, chi nella zona di Colorina o nel Morbegnese e chi, invece, è titolare di un’azienda a Fusine, fornitrice dei mangimi: Marco Scarinzi, Isidoro Motta, Claudio Bertolini, Michele Codega, Gabriele Pedretti, Maurizio Pedroncelli, Giulio Tocalli, Claudio Tavasci e Massimo Tavasci. In totale 9 indagati. Michele Pusterla