
Niki Stabile dal suo profilo Intsagram
“Ho vent’anni, vengo da Brescia e sono una ragazza un po’ incasinata”, si presenta così Niki Stabile, con un timido sorriso sulle labbra. Con 161mila follower su Instagram e più di 11 milioni di “mi piace” su TikTok, Niki racconta se stessa sui social senza filtri, alternando contenuti ironici a riflessioni profonde. La sua è una narrazione autentica, in cui convivono leggerezza e impegno, creatività e consapevolezza. Al centro, il suo percorso di transizione, vissuto con coraggio, ma anche con il desiderio di rompere stereotipi e costruire spazi più sicuri online.

Come è nata l’idea di condividere contenuti sui social?
“La mia carriera da content creator è iniziata l’anno scorso, ma l’idea di creare contenuti sui social è nata nell’estate 2023: mi ero appena diplomata e sono partita per un’esperienza Erasmus in Irlanda. Doveva durare solo un mese, ma poi si è presentata l’occasione di restare per altri due: sono stata l’unica del mio gruppo di amici ad accettare. In quei due mesi ho iniziato a capire quanto i social potessero diventare una compagnia. Ero già un’utente attiva, ma non avevo mai pensato di prenderli sul serio. Così ho cominciato a condividere su TikTok la mia solitudine: ero rimasta completamente da sola in un altro Paese. All’inizio non andava granché, poi mi sono sbloccata, ho iniziato a divertirmi e a esplorare di più la mia personalità. Da lì le persone hanno cominciato a seguirmi e a divertirsi con i miei video. Tornata in Italia, quella leggerezza si è un po’ spenta. Ma all’inizio del 2024 ho deciso di prenderla seriamente”
E come sono nati i personaggi della “borghesona” e della “borghesina”?
“Questi personaggi sono nati tra il diploma e la mia esperienza in Irlanda. All’inizio erano solo un’idea, poi ho iniziato a lavorarci sopra seriamente quando ho capito quale tipo di contenuti volevo portare. Sono due alter ego che seguono la mia crescita personale e creativa”
Hai dovuto imparare a gestire la “popolarità”?

“Sì, mi è capitato che qualcuno mi riconoscesse e mi ha fatto molto piacere! La mia crescita sui social è avvenuta piuttosto in fretta, e ancora oggi sto cercando di capire davvero come funzioni questo mondo. Chi mi segue e mi riconosce ha spesso un’età che va dalla fine delle medie all’inizio delle superiori. Sono più piccole di me, e questo rende certe situazioni un po’ imbarazzanti, ma ogni volta è bello e diverso”
C’è stato un momento in cui hai iniziato a pensare a questa attività come un lavoro?
“In Italia, il boom dell’influencing è arrivato con il Covid, quasi tutte le mie colleghe sono nate in quel periodo. Io ho sempre saputo che poteva essere un lavoro ben retribuito, ma è stato nel 2023, quando ho avuto una crescita importante di follower, che ho realizzato che anche per me poteva diventare qualcosa di serio. Non conta solo quanti follower hai: ci sono figure che, anche con numeri più piccoli, sono molto appetibili per i brand. Ho cambiato agenzia, spinta dalla voglia di capire meglio come funziona questo mondo, e da lì ho cominciato a lavorarci davvero”
C’è un contenuto che preferisci registrare?
“Da creativa quale sono, ogni volta cerco di creare nuovi contenuti. Mi piace molto mostrare quando mi faccio le unghie. Un tempo filmavo anche quando cucinavo, e faccio proprio schifo a cucinare, quindi diventava divertentissimo. Un altro format a cui tengo è “provo vestiti gratis”: provo abiti che mi vengono regalati da parenti. È un contenuto sostenibile, che preferisce il vintage all’acquisto di nuovo abbigliamento. Nella intro, mio fratello mi lancia i vestiti ed è da lì che parte tutto”
Dopo i femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella, hai postato un reel dove inviti i tuoi colleghi e i più giovani ad informarsi sui social. Cosa ne pensi della relazione tra i giovani e i social e dell’importanza di fare informazione con questo strumento?
“Se usati bene, i social possono davvero aiutare a cambiare il mondo, ma sono accessibili a tutti, anche a persone insensibili. Dopo i femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula, ho sentito il bisogno di parlare. Ho invitato le persone a informarsi, perché viviamo in un mondo attraversato da guerre, genocidi e ingiustizie, e spesso sembriamo non vederlo. Ho proposto anche ai miei colleghi creator di usare di più il tasto “repost” su TikTok, che può aiutare a diffondere contenuti informativi e che parlano di attualità. Credo sia fondamentale avviare una sensibilizzazione per rendere le persone “intelligentemente emotive”: mi sta a cuore che chi guarda un contenuto si chieda: “È successa questa cosa, cosa posso fare io per migliorarla?”. Credo molto anche nella forza dell’utente passivo: ogni persona costruisce la propria “for you page”. La mia, ad esempio, è piena di telegiornali e appelli di persone da Gaza che chiedono aiuto. Ho visto come questo social può creare connessioni e portare cambiamenti”
Recentemente hai anche reso pubblico il tuo percorso di transizione sui social, spiegandone anche le difficoltà…
“Ho iniziato il mio percorso nel 2020, e ora sta terminando. Mi rendo conto di essere privilegiata: ho avuto accesso a un supporto medico, psicologico e legale adeguato. Ma viverla è stato comunque duro, anche per la mia famiglia all’inizio, e di questo me ne sto rendendo conto adesso, a posteriori. Quando nasci e cresci con una disforia di genere è pesante. Io, ad esempio, ho una memoria pessima: ho rimosso gran parte del mio passato, ho avuto una specie di “anestesia personale”. Ricordo che da bambina mi dicevo: “Un giorno avrò la barba e una famiglia? Che schifo”. Ho sempre giocato con le bambole, per fortuna ho avuto accanto persone che mi hanno sostenuta. Con le prime sedute ero carica, poi ho capito quanto il mondo può essere ostile per noi. Col tempo ho anche smesso di parlare della mia transizione, perché mi sentivo più a mio agio nel mio corpo e avevo il “potere del passing” (quando una persona trans viene percepita come donna cis). Ma questo “potere” è anche un’arma a doppio taglio: ti fa sentire più sicura, ma ti spinge a nasconderti. Io avevo paura anche solo a uscire di casa, sapendo quanto può essere pericoloso oggi essere una ragazza transgender. Ora ho ritrovato un po’ più di coraggio, la sensibilizzazione non è mai abbastanza. Ogni volta che faccio coming out come donna trans è una sfida: alcuni commentano i miei video con frasi come “non l’avrei mai detto” e capisco il buon intento, ma questo non fa altro che sottolineare una visione sbagliata, il fatto di essere trans ancora ti inserisce in una categoria. Io voglio che si capisca che sono una donna, solo con un percorso diverso. Siamo persone normali ed io tante volte mi sono sentita un mostro, ma non per colpa mia. Adesso sto ritrovando quella fiducia che avevo all’inizio e anche un po’ di quella rabbia per combattere l’ignoranza”.
Dopo il suicidio di Alex Garufi si è tornato a parlare dell’odio sui social. Qual è la tua opinione al riguardo? Vuoi parlarci anche della tua esperienza?
"È stato un esempio chiarissimo di quanto i social possano essere potenti, nel bene e nel male. Anche io, quando ho iniziato a fare video, ho ricevuto tanti commenti d’odio, tanti insulti, soprattutto su Instagram. Alcuni video erano andati molto virali, e con la viralità arriva anche un pubblico pericoloso. Ho avuto la forza di dargli il giusto valore – cioè nessuno: in un certo senso, anche quei commenti hanno contribuito alla mia crescita sui social. A volte però la shitstorm è più grande di te, e anche la persona più forte può crollare. Ho fatto diversi video rispondendo a certi commenti, tipo quelli di uomini che ci tengono a far sapere che “loro avevano capito che sono trans” e che dunque facevo schifo. Ciò che mi fa arrabbiare non è tanto il commento in sé, ma tutto il sistema culturale che c’è dietro. Le soluzioni – come l’educazione – sarebbero vicine, ma preferiamo sprecare energie nell’odio e questo diventa insostenibile a lungo andare. Pochi giorni fa, una mia collega ha denunciato le minacce di morte che ha ricevuto su Facebook, ad esempio. O ancora: ultimamente ho avuto anche un “ammiratore” che ha assillato me e le mie amiche. I social sono un mondo bellissimo, ma non funzionano ancora come dovrebbero. Il lavoro del content creator è stato riconosciuto da poco: serve una maggiore regolamentazione e tutela”