BEATRICE RASPA
Cronaca

Sversò liquami dall’azienda, arriva la stangata

Brescia, dipendente della Wte di Calcinato condannato a pagare 5mila euro: pare volesse concimare un orto di suo proprietà

di Beatrice Raspa

Una palude maleodorante ricopre i terreni della frazione Barconi di Calcinato, residenti, Arpa, Comune ed enti locali entrano in allarme per un possibile caso di inquinamento ambientale. Nel mirino finisce la Wte, azienda specializzata nella produzione e nel trattamento di fanghi, a carico della società si apre il processo e si scopre che a generare il laghetto puzzolente è stato un dipendente, il quale aveva aperto un rubinetto degli scarichi, vi aveva collegato un tubo di gomma e aveva utilizzato i dintorni come fognatura. Per fortuna senza generare danni all’ambiente. Risultato: il Tribunale lo ha condannato a pagare cinquemila euro di multa. Questo l’epilogo giudiziario di una vicenda che nell’estate 2015 aveva preoccupato mezza Calcinato, a cominciare dagli ambientalisti spesso sulle barricate proprio contro la Wte, che molti ritengono una vicina ingombrante per vie delle puzze dei fanghi trattati. Il fatto da cui è scaturito il processo, nel quale si erano costituiti parte civile Comune e Provincia, risale al 28 agosto di cinque anni fa. Nei terreni a Sud dell’impianto si notò uno strano laghetto estendersi velocemente su aree di proprietà comunale, una palude di decine di metri quadri a base di un liquame marroncino non proprio al profumo di rosa, che arrivò a lambire l’autostrada A4. Subito si mossero sindaco, polizia locale e Arpa, tutti inquietati da un possibile disastro. A stretto giro i liquami furono aspirati e smaltiti. Nel frattempo la Procura avviò un’indagine. Non ci volle molto per individuare l’origine dello sversamento, ovvero la Wte. Nei guai finì l’amministratore unico della società, accusato di sversamento illecito di rifiuti e violazione delle prescrizioni dell’Aia. I tecnici dell’Arpa tra il 2015 e il 2016 misero sotto la lente l’azienda chiedendo tutte le caratterizzazioni e le analisi sui reflui. Tra gli inquirenti c’era il sospetto che la fabbrica non fosse in regola con i sistemi di abbattimento degli inquinanti, ma il timore fu fugato. Non furono riscontrati irregolarità o pericoli per l’ambiente. Durante le sette udienze del dibattimento si è poi chiarito che a provocare la fuoriuscita degli scarichi industriali non fu un guasto dell’impianto, come si ipotizzava all’inizio, ma una mossa azzardata di un dipendente dell’azienda. L’uomo pare abbia collegato un tubo di gomma da irrigazione allo scarico, abbia aperto i rubinetti di scolo, deviandolo dalle fogne all’aria aperta.

Le ragioni della furbata non sono state chiarite ufficialmente, anche se qualcuno ha vociferato di un’intenzione di concimare un orticello di proprietà, guarda caso proprio a ridosso della fabbrica. Accertato comunque che le acque di scolo erano state regolarmente trattate e non avevano inquinato, Procura e difesa si sono allineate nella richiesta di riqualificazione del reato di smaltimento illecito di rifiuti non pericolosi in scarico abusivo di reflui, illecito estinguibile con il pagamento di una multa. Un passaggio, questo, che ha determinato il ritiro dal procedimento del Comune, mentre la Provincia si è associata alle istanze di derubricazione e di condanna. "Il nostro obiettivo era chiarire nell’interesse dei cittadini che cosa fosse accaduto e sincerarci che dalla Wte non fossero derivati danni all’ambiente – spiega l’avvocato Alessandro Asaro, che ha assistito il Comune-. Una volta capito questo ci siamo fermati, anche se non escludiamo di chiedere un risarcimento in sede civile. L’azienda però curi meglio la formazione dei propri dipendenti".