Brescia – È stato il giorno della superteste, la donna le cui dichiarazioni si sono rivelate fondamentali nelle ultime due inchieste sulla strage di Piazza della Loggia, la diciassettesima e la diciottesima, sui presunti esecutori materiali: gli ex ordinovisti veronesi Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, entrambi sotto processo a 50 anni dai fatti. Entrambi amici del suo fidanzatino dell’epoca: il neofascista Silvio Ferrari, ucciso a 21 anni il 19 maggio 1974 da una bomba che trasportava in Vespa in piazza Mercato.
È Ombretta Giacomazzi, figlia dei titolari della pizzeria Ariston, allora punto di ritrovo dei camerati bresciani e veneti. Oggi 67enne, Giacomazzi per tre ore abbondanti ha deposto davanti al Tribunale dei minori dove è a giudizio (a porte chiuse, come è prassi per i minorenni) ‘Tomaten’ Toffaloni, rinato a nuova vita in Svizzera come Franco Maria Muller. Giacomazzi in aula ha ripercorso i travagli che solo negli ultimi anni l’hanno portata a raccontare, quando nel corso delle indagini precedenti non lo fece. “Solo da adulta ho capito quale rischio ho corso, avevo paura. In molti mi avevano detto di non parlare. Ora dico solo la verità”.
Entrata in Tribunale dall’ingresso posteriore per dribblare i giornalisti, la donna ha confermato di avere avuto nei primi anni ‘70 una relazione con Silvio Ferrari, che sfrecciava tra Brescia e Verona con la sua Vespa e portava con sé la ragazza. Ferrari frequentava il gotha dell’eversione nera alla caserma dei carabinieri di Parona, appunto a Verona, e Palazzo Carli, quartier generale della Nato. E dove secondo l’accusa sedevano alti ufficiali americani, generali dei carabinieri – come Francesco Delfino, poi assolto – e ordinovisti come Toffaloni.
Il cuore delle inchieste più recenti infatti è che dietro le stragi nere vi fosse un disegno più ampio, favorito da vertici militari italiani e statunitensi che per sovvertire la democrazia e scacciare il rischio dell’avanzata delle sinistre a favore di un potere forte erano pronti a ingaggiare giovani estremisti di destra per compiere attentati.
Giacomazzi ricorda Toffaloni, “aggressivo e tremendo”, e Zorzi. Entrambi erano spesso a Brescia. Qualche sera dopo la morte del fidanzato i due erano nella sua pizzeria con altri camerati. Li sentì dire che “bisognava vendicare Silvio” e che “avrebbero fatto loro quello che doveva fare lui”. E ancora, Giacomazzi ricorda un pomeriggio in auto con Silvio e tre persone. Una era ‘Tomaten’: “Lo stesso che gli consegnava delle buste fuori da Palazzo Carli a Verona. Silvio voleva tirarsi indietro da qualcosa e Toffaloni gli diceva che non poteva”.