Ghedi, il padre ha visto la furia dei ladri sul figlio: "L'hanno massacrato"

Ghedi, il racconto dei momenti da incubo. Francesco ancora gravissimo

Francesco Scalvini

Francesco Scalvini

Ghedi, 26 gennaio 2017 - Ha l'occhio sinistro pesto, con un livido che gli scende sulla guancia, e la faccia incerottata. Lo sguardo azzurro di Giancarlo Scalvini, il padre del 36enne elettricista a cui i rapinatori lunedì sera hanno fracassato il cranio – è sempre gravissimo alla clinica Poliambulanza – appare perso e sofferente. «Ricordo solo che c’erano tre persone, non so di quale nazionalità fossero, non hanno parlato – racconta l’uomo, 71 anni, dimesso ieri dall’ospedale di Montichiari e ancora sotto choc -. Non so, forse erano romeni, dalla fisionomia non credo italiani. Erano robusti, a volto scoperto». Tre banditi hanno fatto irruzione nella sua abitazione in via Petrarca 24 a Ghedi, nella Bassa, a 20 chilometri da Brescia. Sette e mezza di sera, case vicine come in un budello, strada stretta con una curva a gomito. Sotto gli occhi dei vicini i ladri si sono arrampicati fino al primo piano usando una scala a pioli e un’antenna parabolica sul retro, vicino al garage. Hanno tentato di scardinare la cassaforte ma il proprietario rincasando dal lavoro li ha sorpresi, spingendoli alla fuga. «Sono entrato in casa e ho visto che c’erano tre uomini che picchiavano sulla cassaforte in camera mia, forse usavano una mazza – continua l’elettricista -. Allora sono tornato indietro, ho chiamato al telefono mio figlio per dirgli che c’erano i ladri da me. Poi è sceso anche mio fratello (Ignazio, 66 anni, che vive al secondo piano della stessa casa, ndr) -. Abbiamo fatto il giro da fuori in strada e loro ci hanno presi. Francesco non l’ho visto perché stava scendendo davanti, non so se l’hanno picchiato con le spranghe o con la mazza che avevano in mano per aprire la cassaforte. A me hanno dato solo pugni, molti pugni, sanguinavo. Avevamo cercato di avvicinarli, tutto è successo mentre loro stavano già salendo in macchina per scappare». I vicini hanno avvistato un’auto grigia chiara, forse una vecchia Bmw, su cui si concentrano le indagini. I carabinieri del nucleo provinciale investigativo e della compagnia di Verolanuova sperano di identificare un numero di targa ma non sarà facile, in via Petrarca non ci sono telecamere, così come non ci sono in tutto il circondario. Anche l'arma usata per massacrare Francesco – si ritiene un oggetto appuntito, forse un piede di porco o un avvitatore – non è stata trovata. In molti hanno assistito al pestaggio. C’è chi racconta che Ignazio Scalvini, lividi e botte sul volto - è stato dimesso dall’ospedale martedì - aveva con sé una mazza. Per tre volte ha colpito uno dei banditi ma quello continuava a picchiare senza scomporsi. «Belve? Macché, gli animali non fanno queste cose» commenta don Sebastiano mentre per conto della parrocchia si reca in visita alla famiglia. «Mio marito oggi sta meglio ma è ancora molto provato – riferisce la moglie di Ignazio affacciandosi alla finestra -. Non smettiamo un attimo di pensare a nostro nipote».