
Il generale Massimo Giraudo
Al centro di questa storia c’è una Dyane. La Dyane azzurrina di Elio Massagrande, il capo veronese dei neri di Ordine nuovo, fuggito in Grecia nel 1973, quando il movimento neofascista fu messo fuori legge. Quella Dyane divenne l’auto d’ordinanza degli estremisti di destra, che se la passavano, la utilizzavano per le trasferte e fu avvistata spesso anche a Brescia, pochi giorni prima della strage. La Dyane è il nuovo anello di congiunzione tra neofascisti veronesi e bresciani emerso ieri al processo per Roberto Zorzi, l’ex ordinovista di Verona, da anni cittadino americano, accusato con il conterraneo Marco Toffaloni (imputato davanti al tribunale dei minori) di aver messo la bomba in piazza Loggia il 28 maggio 1974.
Quell’auto celeste suggella la joint venture che, stando alle sentenze definitive, firmò l’attentato, maturato all’ombra delle connivenze con forze dell’ordine, servizi deviati e Nato in funzione anti-comunista. Sulla vettura si è soffermato il generale dei carabinieri Massimo Giraudo, ex comandante Ros, investigatore di punta sulle stragi in Italia, che ieri ha risposto alle domande dei legali di parte civile.
A cominciare da quelle dell’avvocato Silvia Guarneri, proprio sulla Dyane: la macchina scarrozzava il capo di Ordine nuovo del Triveneto Carlo Maria Maggi, già condannato all’ergastolo per l’ideazione dell’attentato di Brescia. Ed era in uso a Zorzi. Ermanno Buzzi, neofascista di Brescia finito nella prima inchiesta sulla strage e che nel 1979 fu condannato (e poi fu strangolato in carcere alla vigilia dell’appello), dichiarò che Zorzi di certo la guidava la sera del 18 maggio 1974 a Brescia, spacciandosi per Tony Pasetto, una falsa identità. Seguiva la Vespa di Silvio Ferrari, il giovane camerata saltato per aria in piazza Mercato per colpa di un ordigno esploso “per sbaglio“, che trasportava sul pianale del motorino. La Dyane azzurra fu rivista a Brescia anche in occasione dei funerali di Ferrari. E poi rieccola nel cortile della casa della fidanzata di Zorzi, a Verona.
Il solido legame tra i bresciani e veronesi è riassunto pure dalla figura di Marcello Soffiati, colui che recuperò a Venezia la gelignite destinata a piazza Loggia e poi la fece mettere in sicurezza all’armiere Carlo Digilio, personaggi deceduti la cui responsabilità è ormai cristallizzata. "Soffiati era un fedelissimo di Maggi, interno alla rete informativa statunitense – ha detto Giraudo –. Addestrava i giovani veronesi e sparava al poligono di Verona con Digilio e Toffaloni".
Beatrice Raspa