
La Caffaro a Brescia ha prodotto Pcb dagli Anni 30 agli 80
Brescia - Due città, Anniston in Alabama, negli Stati Uniti, e Brescia, unite dallo stesso fil rouge: quello del cancerogeno Pcb. La prima divenne sede della Swann Chemical Company che, nel 1929, avviò la produzione di questo composto chimico termicamente stabile e resistente al calore, a cui si interessò nel 1935 la Monsanto Chemical Company, che per decenni detenne il monopolio internazionale della produzione. In Italia, la Caffaro ne acquisì la concessione nel 1938, producendoli nello stabilimento di Brescia (ma anche Colleferro e Torviscosa) fino agli anni ‘80. Proprio le analogie tra i due siti, in termini di esposizione all’inquinamento, rende interessante anche per Brescia l’ultimo studio, pubblicato a gennaio su Environmental Health Perspectives, sulla relazione tra malattie epatiche e Pcb.
"Lo studio – spiega Celestino Panizza, medico del lavoro e referente per la sezione bresciana dell’Isde Medici per l’Ambiente – testa l’ipotesi che specifici MicroRNAs (miRs, molecole endogene di RNA, ndr) siano associati a malattie del fegato ed esposizioni a Pcb in una coorte residenziale. I risultati supportano l’epatotossicità umana delle esposizioni ambientali ai Pcb e chiariscono le potenziali modalità azioni del Pcb".
In sostanza, analizzando 68 mir nel siero archiviato di 734 residenti, lo studio ha evidenziato che c’è una relazione tra le esposizione a Pcb e patologie del fegato (riscontrata una relazione significativa tra 24 cogeneri di Pcb e 11 miRs) e potenzialmentee anche con i tumori epatici. "Questo studio è un’ulteriore conferma dei problemi al fegato che i Pcb sono in grado di provocare", evidenzia Panizza. Di conferme, su questo fronte, non ce n’erano state molte. Il primo studio scientifico italiano che aveva certificato un nesso tra Pcb e tumore al fegato, curato dall’Università di Brescia, è stato pubblicato lo scorso anno dalla rivista Scientific Report ed aveva evidenziato una relazione (seppur debole) tra carcinoma al fegato e livelli di Pcb nel sangue di 62 pazienti.
Ora lo studio americano potrebbe essere la chiave per spiegare anche perché nel Bresciano ci sia un’incidenza maggiore di tumore al fegato rispetto all’Italia nord-occidentale (+39% secondo l’ultimo rapporto Sentieri). "Per anni l’eccesso di mortalità per tumore al fegato in tutta l’area bresciana è stato attribuito ad un’elevata incidenza di virus epatici – ricorda Panizza- ora ci sono una serie di studi convergenti che mettono in relazione il Pcb con il danno epatico. Allo stato delle conoscenze attuali, i Pcb sono quanto meno delle concause". Negli anni, la presenza di Pcb nel sangue dei bresciani si è dimezzata, per effetto dell’interruzione della catena alimentare (i Pcb finivano nei campi, dove cresceva il grano e pascolavano gli animali, attraverso i quali finivano nei cibi), ma secondo Panizza ora bisognerebbe valutare l’esposizione delle giovani generazioni. "E poi secondo me ci sarebbe il problema mai sufficientemente approfondito, dei metalli pesanti, del mercurio per esempio, che potrebbe essere indagato attraverso la ricerca in capelli e unghie".