Non è una scuola dell’obbligo e per questo, erroneamente, in passato era considerata più un servizio per le famiglie che una possibilità di crescita e sviluppo per i bambini, ma la letteratura italiana e internazionale ha ormai sdoganato la scuola dell’infanzia come cruciale per il successo educativo degli studenti, ma anche di inclusione. Resta, però, ancora molto da fare perché l’accesso all’istruzione già dai 3 anni diventi una prassi per tutti, nonostante non ci sia un’obbligatorietà. Per ora, infatti, se per le famiglie con cittadinanza italiana è quasi scontato iscrivere i minori alla scuola dell’infanzia, lo è molto meno per le famiglie con background migratorio. Lo dicono i numeri, oltre che l’esperienza di chi opera in questo ambito.
I numeri elaborati da Openpolis, su dati MIM e Istat, parlano chiaro: nelle scuole dell’infanzia appaiono sottorappresentati i bambini con cittadinanza non italiana. Per quanto riguarda le province lombarde, ad esempio, a Milano i residenti stranieri nella fascia 3-5 anni sono il 23,6% del totale, ma gli iscritti nelle scuole d’infanzia sono il 19,8% del totale; a Brescia il divario tra quota di iscritti e residenti stranieri da 3 a 5 anni è di -2,9 punti percentuali, a Pavia -4,6 punti (uno dei dati peggiori in Italia), a Lodi -3,1. "Spesso vengono iscritti solo all’ultimo anno – spiega Anna Frattini, assessora all’Istruzione del Comune di Brescia – in vista della primaria, perché la scuola d’infanzia è considerata ancora come preparatoria per quella dell’obbligo. Sappiamo che non è così, a Brescia stiamo avviando ad esempio progetti Steam nei servizi educativi 0-6, per avvicinare le bambine sin dalla prima infanzia alle scienze. Uno degli obiettivi è, quindi, far sì che cresca la quota di famiglie straniere che iscrivano i minori già dal primo anno".
Questa tendenza pone, in effetti, alcune problematiche in termini di integrazione, perché significa che molti bambini stranieri restano fuori da percorsi educativi dai primissimi anni di vita, esclusi quindi da esperienze che non sono solo di istruzione in senso stretto, ma anche sociali, con la possibilità di frequentare i coetanei e di apprendere la lingua, quando necessario. Secondo l’analisi di Openpolis, i territori in cui l’incidenza dei minori stranieri nelle scuole d’infanzia è in linea con quella nella popolazione, sono spesso anche quelli in cui appare più contenuto il fenomeno degli apprendimenti inadeguati. Viceversa, dove l’inclusione è inferiore, in molti casi anche gli apprendimenti lo sono. Partire dai primi anni di istruzione è l’unico modo per colmare questo divario, prima che sia troppo tardi.
D’altra parte, anche l’Unione Europa, nel 2021, ha stabilito che, entro il 2030, almeno il 96% dei bambini tra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico partecipi all’istruzione pre primaria. Attualmente l’Italia si attesta a circa 3 punti da questo target, la Lombardia è al 94%.
Federica Pacella