Gussago, milioni di euro sotterrati in giardino. Marito e moglie condannati: ecco come funzionava il ‘sistema Rossini’

Una montagna di soldi in nero accumulati in anni di magheggi imperniati su società cartiere e triangolazioni estere. Coinvolte circa 70 persone tra imprenditori, faccendieri, prestanome e ‘spalloni’

Giuliano Rossini e Silvia Fornari e il denaro seppellito in giardino

Giuliano Rossini e Silvia Fornari e il denaro seppellito in giardino

Gussago (Brescia) – La loro storia era rimbalzata in tutta Italia. Marito e moglie di mestiere rottamai, nessuna grana giudiziaria alle spalle se non bazzecole amministrative, casa senza fronzoli a Gussago, 16mila abitanti a metà strada tra Brescia, la Valtrompia e la Franciacorta, utilitaria in garage, si è scoperto che avevano interrato in giardino un bel gruzzolo. Su per giù 15 milioni, compresi i contanti rinvenuti nella mansarda del figlio 22enne.

Oggi, l’epilogo giudiziario: Giuseppe Rossini, 46 anni, e Silvia Fornari, 42, al termine del processo in abbreviato sono stati condannati a quattro anni di carcere. Tre anni (dieci mesi e venti giorni) sono invece stati inflitti al figlio Emanuele e alla cognata Marta Fornari. Il pm Claudia Passalacqua aveva chiesto pene più che doppie: nove anni per i Rossini, sei per figlio e cognata. La coppia era finita in carcere lo scorso autunno ad opera della finanza e dei carabinieri con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a una frode fiscale milionaria, quantificata in mezzo miliardo di fatture false e 93 milioni di tasse evase.

Un affare di famiglia al quale partecipavano appunto anche i parenti. In un terreno incolto nelle pertinenze della loro abitazione gli investigatori e i ‘cash dog’, i cani specializzati nel fiutare banconote, avevano dissotterrato in pochi giorni undici milioni. Banconote perlopiù da 20 e da 50 euro, sigillate in buste ermetiche e minuziosamente interrate in pozzetti poi coperti di terra. In un sottotetto invece c’era un altro milione e 600mila euro. Seguendo degli appunti trovati nella disponibilità del capofamiglia, in un crescendo vertiginoso di ritrovamenti a molti zeri, a stretto giro erano poi saltati fuori poco meno di altri due milioni nell’appartamento del figlio. Le banconote in quel caso erano infilate tra mansarda, legnaia, box attrezzi, tagliaerba, congelatore.

Per la procura quel tesoro disseppellito era una montagna di ‘nero’ accumulato in anni di magheggi imperniati su società cartiere e triangolazioni estere, meccanismi gestiti direttamente da Gussago, da un ufficio casereccio allestito in un cascinale. Le società fittizie bonificavano fiumi di soldi su conti correnti da Hong Kong alla Polonia, dalla Romania alla Slovacchia passando per Ungheria e Croazia. E il denaro poi tornava in Italia grazie a ‘spalloni’ incaricati del trasporto contanti. Stando alla prospettazione accusatoria nel ‘sistema Rossini’ erano coinvolte circa 70 persone - imprenditori, faccendieri, prestanome, di cui 27 sottoposti a misure cautelari - ingaggiati in una struttura stabile e organizzata, con provvigioni del dieci per cento garantite agli associati.

Dal canto suo Rossini - tuttora in carcere, mentre la moglie è ai domiciliari (ma la procura ha portato la scarcerazione in Cassazione) – aveva ammesso ogni addebito, sostenendo di essere finito in un meccanismo più grande di lui per poter lavorare, essendo il settore dei metalli e dei rottami tutto basato sul ‘nero’, dal quale non riusciva più a sottrarsi. ‘Il ragionamento fatto dal giudice lo capiremo solo leggendo le motivazioni - ha detto con soddisfazione l’avvocato Lorenzo Cinquepalmi, che assiste tutta la famiglia -. Ma ci è andata bene. Anche se non ci è stata concessa la detenzione domiciliare, le imputazioni non sono state riqualificate, dunque la sentenza non è impugnabile dalla procura’.

E bene è andata anche agli altre sette imputati in abbreviato, imprenditori, faccendieri e prestanome. Due hanno patteggiato. Gli altri hanno riportato condanne dimezzate rispetto alle richieste del pm.