Elena Casanova uccisa a martellate, il killer Ezio Galesi: "Mi stressava, l'ho ammazzata"

Al processo il cinquantanovenne di Castegnato (Brescia) ha raccontato l’omicidio, negando il movente della gelosia. Il presidente della corte ha affidato a un perito la valutazione psichiatrica dell’imputato chiesta dalla difesa

Nei riquadri Elena Casanova ed Ezio Galesi

Nei riquadri Elena Casanova ed Ezio Galesi

Brescia, 30 novembre 2022 - "L’ho uccisa perché mi stressava la vita, era lei che mi minacciava. Il cervello in quel periodo mi era partito, il mio e anche il suo, a cui l’ho rotto a martellate. Le ho tagliato la strada in auto come faceva lei con me. Mi dispiace di averlo fatto. Ho rovinato la mia vita e quella dei miei figli. Ma se tornassi indietro prenderei un mitra e sparerei anche ad altre tre o quattro persone". Ossessionato da un presunto debito di poche centinaia di euro da parte della ex, farneticante e pieno di rabbia. Così è apparso in Assise Ezio Galesi, il 59enne di Castegnato che la sera del 20 ottobre 2021 ha atteso fuori casa Elena Casanova, 47 anni, e le ha sfondato il cranio con 16 martellate.

Negato il movente della gelosia

Separato, con due figli grandi, l’operaio ai giudici ha raccontato la sua verità, negando il movente della gelosia per la relazione interrotta contestato dal pm Carlo Pappalardo. "Elena? L’ho conosciuta a una cena degli alpini 5 anni fa, ci siamo frequentati una settimana e poi l’ho lasciata io – ha esordito l’imputato, che risponde pure di calunnia nei confronti della vittima e del compagno per averla accusata con esposti anonimi di aver fatto parte di un sodalizio dedito alle fatture false –. Per dieci mesi non l’ho più vista, poi abbiamo ripreso a frequentarci come amici. Ci facevamo piaceri, viaggi insieme, è durata 2-3 anni".

Il debito e la rabbia

Durante la prima ondata Covid i due hanno convissuto qualche settimana a casa di lei ("Sapevo che voleva fare dei lavoretti in giardino, le ho fatto cose per duemila euro, ma eravamo d’accordo mi avrebbe pagato") poi nell’estate seguente l’amicizia si è sbriciolata. "Elena continuava a programmare viaggi, era diventata arrogante, pretendeva lavori. Mi ha pagato solo 50 euro. Mi ha anche chiesto di fare il prestanome. Mi vedevo spesso pedinato da un’Audi e sapevo che dietro tutto questo c’era lei, che si fermava apposta davanti a casa mia e mi sfotteva gasandosi del telefono nuovo e della casa che stava rifacendo da cima a fondo. Ricevevo chiamate serali anonime. Il giorno dell’omicidio l’ho incontrata all’Obi. Me la vedo lì che comincia a ridere e sono scoppiato. Aveva soldi a pacchi e non mi pagava".

"Prima o poi mi uccide"

In aula gli altri testi del pm: la figlia, l’ex marito, a cui Elena aveva confidato che Galesi spingeva per riprendere la relazione, aveva paura ma non ha mai denunciato perché temeva che si incattivisse. Il fratello e poi il nuovo compagno, che era con lei quando una sera si trovò le gomme dell’auto tagliate. Infine l’amica del cuore Francesca Busi, che ha sentito la 47enne al telefono poche ore prima di morire. "Era terrorizzata da Galesi – ha riferito la donna scoppiando in lacrime – . Il 2 ottobre, durante una vacanza in Toscana, Elena mi ha confidato "prima o poi questo mi uccide". Noi cercavamo di tranquillizzarla, non pensavamo sarebbe arrivato a tanto". Prima di chiudere l’istruttoria il presidente della Corte Roberto Spanò ha affidato una valutazione psichiatrica dell’imputato al perito Giacomo Filippini - a sollecitarla, l’avvocato della difesa Oscar Bresciani - che avrà 45 giorni di tempo per esprimersi.