Il mistero di Sarbit, morta come Yara: un fantasma può aiutare Bossetti

In appello evocato il caso della ragazza scomparsa nella stessa zona

L’avvocato Claudio Salvagni

L’avvocato Claudio Salvagni

Brescia, 10 luglio 2017 - L'ultimo attacco per sottrarre Massimo Bossetti all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Oggi i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini termineranno le loro arringhe chiedendo alla Corte d’Assise d’appello di Brescia quella che hanno già definito una decisione “coraggiosa”: l’assoluzione per il muratore di Mapello, in carcere dal 16 giugno del 2014. Una decisione che potrebbe passare anche per una perizia sul Dna rimasto sugli indumenti di Yara, la traccia genetica che ha consegnato Bossetti al carcere a vita. «L’imputato - ha detto Salvagni -, la chiede, la invoca: perché non ha paura».

I difensori (Salvagni sarà il primo a intervenire nella mattinata) parleranno del Dna e dedicheranno molto spazio alla ricostruzione medico legale dell’omicidio. Forti del parere di Peter Gill, uno dei luminari della genetica forense contemporanea, sosterranno la tesi della impossibilità che una traccia biologica di quella quantità e di qualità straordinariamente elevata possa essersi conservata su un corpo rimasto per tre mesi nel campo di Chignolo d’Isola, esposto all’umidità e a ogni tipo di intemperie. Sarebbe stato invece possibile in un ambiente caldo e asciutto. È stata chiesta l’audizione del professore inglese, oggi docente all’università di Oslo. Nell'ultima udienza la difesa ha evocato un fantasma. Lo aveva fatto in primo grado all’Assise di Bergamo, è tornata a insistere davanti ai giudici bresciani chiedendo di acquisire il fascicolo sulla morte di Sarbit Kaur, una ventunenne di origine indiana scomparsa un mese dopo Yara. Un caso di cui si era occupato il pm di Bergamo Letizia Ruggeri, archiviato come suicidio.

Sarbit si allontana dalla sua abitazione di Martinengo il 24 dicembre del 2010. È un venerdì come il 26 novembre, quando Yara è stata inghiottita dalla notte bergamasca. Lascia la sua auto, una Honda Jazz blu, parcheggiata con le portiere chiuse all’ingresso dell’“Oasi verde”, un grande parco attrezzato che si estende su entrambe le sponde del Serio. Il corpo di Sarbit viene ritrovato sei giorni dopo, il 30 dicembre, a una ventina di chilometri di distanza, a Cologno, sul greto del Serio. È in posizione prona. Ha una profonda ferita alla testa e due tagli all’altezza dei polsi che secondo i legali di Bossetti sono molto simili a quelli inferti dall’assassino, con crudeltà e precisione chirurgica, alla piccola Gambirasio. Il volto è segnato da una grossa ecchimosi. Una gamba fratturata. Alcune escoriazioni. Gli slip abbassati. I calzoni a un paio di metri dal cadavere. L’autopsia certifica il decesso per annegamento. La famiglia Kaur non ha mai creduto al suicidio. Il 14 luglio le repliche delle parti. Il 17 la Corte si ritirerà per una camera di consiglio che si annuncia molto lunga. Uscirà con la sentenza o con una ordinanza che disporrà la perizia e riaprirà il processo.