Bergamo – Quel delitto – la notte tra il 31 luglio e il primo agosto ’93 – si era trasformato nel giallo dell’estate. Del resto c’erano tutti gli ingredienti per il racconto, la narrazione, e per eccitare la fantasia degli amanti del torbido: lei, il fidanzato, l’altra, le ripicche di cuore. Oggi Laura Bigoni avrebbe 53 anni. È sepolta a Clusone. Sua mamma, Maria Facchi, va al cimitero per trovare la figlia. Il dolore per la perdita non conosce tempo: e sono passati 30 anni. Ora, però, il caso è stato riaperto.
L’antefatto. Laura Bigoni, milanese ma originaria di Clusone, aveva 23 anni. In quei giorni si trovava a Clusone nella casa di villeggiatura dei genitori, papà Angiolino e mamma Maria, per partecipare a un matrimonio. I genitori erano titolari di una portineria nello stabile in cui abitava anche l’attore e premo Nobel Dario Fo che aveva dipinto un ritratto di Laura. Dopo il matrimonio papà e mamma tornano a Milano, Laura resta da sola in Valle Seriana. Il primo agosto aveva programmato una gita in montagna assieme agli zii milanesi: la trovano morta, uccisa con nove coltellate inferte al petto e alla gola. Era stato appiccato fuoco al materasso nel tentativo di incendiarlo e distruggere prove. A trent’anni di distanza (come ha rivelato dal settimanale Arabera) le indagini sono ripartite. Il fascicolo è nelle mani del pm Guido Schininà. Un fascicolo aperto da circa due anni, con un lavoro sottotraccia. Accertamenti in corso che potrebbero svelare l’identità dell’assassino.
Tutto parte da una segnalazione nel maggio 2021 che è stata trasmessa alla polizia e poi in Procura. I colleghi vengono contattati da una misteriosa ex villeggiante che frequentava Clusone. "Lavoravo dove lavorava Laura, addetta alle pulizie al Comune di Milano – ha raccontato -. Dopo tanto silenzio, ho deciso di parlare". La donna spiega di essersi licenziata da quel posto, terrorizzata da un uomo che avrebbe cercato di violentarla. Poi collega all’omicidio di Laura un dettaglio inquietante. "Quando fu uccisa – osserva la testimone – ho letto che l’assassino aveva tentato di dare fuoco al materasso del letto con una bomboletta. Quando io fui aggredita quel tizio aveva un accendino e una bomboletta". Che credito dare alla coincidenza? E non è l’unica. "Una volta – racconta la testimone - lo vidi arrivare a lavoro con un taxi giallo". Ebbene tre persone, la notte fra il 31 luglio e l’1 agosto ‘93, dichiararono di aver visto un taxi giallo targato Milano sotto casa Bigoni, tra le 3.55 e le 4.25.
Per l’omicidio gli investigatori (il pm era Maria Vittoria Isella) puntarono le attenzioni su Jimmy Bevilacqua (Gianmaria Negri Bevilacqua), all’epoca 25enne: elettricista, aspirante vigile del fuoco, soprattutto fidanzato di Laura, finito a processo e condannato in primo grado a 24 anni per poi essere assolto in Appello, con conferma della Cassazione. La relazione tra i due era tormentata, non era un mistero. Liti all’ordine del giorno, soprattutto dopo che Laura aveva scoperto che Jimmy aveva una seconda relazione con una sua coetanea. Un colpo basso per Laura che dopo la scoperta e la conseguente rottura visse settimane difficili. I genitori le consigliarono di prendersi delle vacanze nella casa di famiglia a Clusone. Jimmy, però, raggiungeva quasi ogni giorno la Valle Seriana nella speranza di farsi perdonare. E così fece anche il 31 luglio. Laura Bigoni fu poi trovata morta, seminuda sul letto della casa, il corpo insanguinato.
Nella ricostruzione delle ultime ore della ragazza emerse che quella sera si era recata in una discoteca del paese, Collina Verde, dove aveva conosciuto un altro ragazzo, il “biondino” l’aveva accompagnata a casa verso mezzanotte. Arrivati sotto l’appartamento i due notarono che la luce era accesa. Laura decise di aspettare a salire e si appartò in auto con il ragazzo. Più tardi, mentre Laura saliva in casa, il ragazzo parcheggiava prima di citofonare per farsi aprire: Laura non rispose. Era già morta. Le indagini si focalizzarono su Jimmy, che riferì di essere andato al cinema quella sera con l’amante e di aver dormito da lei. Per gli inquirenti, però, solo un vigile del fuoco era in grado di cercare di incendiare il materasso con una bomboletta di lacca per capelli. E nel bagno della casa, c’erano capelli riconducibili a lui.