GABRIELE MORONI
Cronaca

Covid, strage dimenticata. Il figlio di una vittima: “La gente non vuole ricordare. E mio padre ora è solo un numero al cimitero”

Domani la commemorazione ad Albino con i parenti delle vittime. Gianpietro Squinzi ricorda il genitore e il lutto che non passa: “Per cosa sono morte tutte queste persone?”

Gianpietro ed Emilio Squinzi

Gianpietro ed Emilio Squinzi

Memoria e riflessione: si svolgerà domani la commemorazione organizzata dall’associazione #Sereniesempreuniti per la Giornata nazionale in memoria delle Vittime del Covid-19 che ricorre il 18 marzo, giorno in cui, nel 2020, i camion militari portarono via le bare da Bergamo. L’evento “Attraverso e oltre-pensieri e note per ricordare” si terrà all’Auditorium comunale di Albino dalle 17.30, con Enrico Cazzaniga, psicologo e psicoterapeuta, e la partecipazione del pianista Andrea Tonoli. "Un evento diverso dagli scorsi anni - dice Cassandra Locati, presidente dell’associazione - perché è arrivato il momento di dare anche strumenti di lettura del lutto e un messaggio di speranza e di vita che continua”. Verranno raccolti fondi per due progetti: una borsa di studio per supportare un corso per una figura OSS e finanziare uno sportello psicologico nelle scuole.

Albano Sant’Alessandro (Bergamo) – “Quello che più mi rammarica, che più mi addolora, non è tanto che a essere dimenticati siamo noi, i familiari, noi che siamo rimasti. Mi addolora che siano stati dimenticati i nostri morti come i tanti morti della pandemia da Covid-19". Gianpietro Squinzi ha 58 anni, è un operaio meccanico da poco in pensione. Il 2 marzo del 2020 vede per l’ultima volta suo padre Emilio vivo, seduto a tavola accanto a sé. Emilio ha 81 anni. Quel giorno ha un’aria strana, sofferente, respira con affanno. Il 22 una telefonata dall’ospedale di San Pellegrino informa Gianpietro che suo padre è morto. Cinque giorni dopo i quattro figli salutano una bara su un carro funebre che prende la strada del cimitero di Bergamo. In giugno, quando riaprono i cimiteri, Gianpietro chiede dove sia sepolto il padre. Uno dei custodi lo indirizza a una lapide senza un nome, delle iniziali, un numero. Oggi Gianpietro Squinzi è un membro attivo dell’associazione #Sereniesempreuniti che raccoglie molti familiari delle vittime del virus di tutta Italia.

La foto simbolo del Covid a Bergamo
La foto simbolo del Covid a Bergamo

Signor Squinzi, lunedì sarà la Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid. Ma esiste ancora un pubblico ricordo?

"No. Quella del Covid è una tragedia dimenticata. In febbraio l’anniversario dell’inizio ufficiale della pandemia è passato completamente sotto silenzio. Viene ricordato l’anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina, si ricordano le guerre mondiali e non si fa più menzione di questa guerra, una guerra invisibile. Come se quel ricordo desse fastidio, come se ci fosse da coprire qualcosa, qualcosa di grave. In un Paese come il nostro, dove si parla di tutto, non si parla più della pandemia".

E la gente?

"Questo mi sconcerta ancora di più del silenzio della politica, delle istituzioni, dei mezzi d’informazione. La gente vuole dimenticare. Non sa, non vuole sapere. Faccio fatica a spiegare che c’è stata un’inchiesta della Procura di Bergamo. Mi sconcerta ancora di più trovare questo atteggiamento anche in persone che hanno sofferto una perdita, un parente, un amico. Mi sento chiedere: ‘Tu, perché vuoi ricordare?’. E io rispondo: ‘Ma scherzi? Io ho perso mio padre. Io devo ricordare’. Allora mi chiedo: per cosa sono morte tutte queste persone?".

Oltre a questa, quali altre domande si fa?

"Tante. Per esempio vorrei chiedere all’attuale ministro della Salute: se torna un’epidemia come quella, noi come siamo messi? Anche perché di Covid si continua a morire".

Cosa si sa dell’inchiesta della Procura di Bergamo?

"Premetto che in noi non c’è nessuna sete di vendetta ma c’è sete di giustizia. Quando abbiamo saputo le conclusioni dell’inchiesta è stato un sollievo per tutti: c’erano due nomi, si parlava di responsabilità. Così come era molto importante una frase detta da Antonio Chiappani, procuratore di Bergamo, sulla risposta che andava data ai cittadini. Significava che qualcosa c’era, qualcosa era successo. Poi sono venute le archiviazioni dei Tribunali dei ministri di Roma e di Brescia. Per le archiviazioni c’è un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Di quello che è rimasto dell’inchiesta di Bergamo non sappiamo più niente. Va avanti? Cosa si fa?".

La sua vita oggi.

"Dopo la morte di mio padre, non mi vergogno a dirlo, ho avuto la necessità di un supporto psicologico. Faccio parte di #Sereniesempreuniti. Partecipo. Ho avviato sia l’azione penale sia quella civile e ho inserito i miei due figli. Questo anche se non mi importa niente di un risarcimento. La vita di mio padre vale più di qualunque risarcimento".

Il primo ricordo di suo padre.

"Guardo avanti e lo vedo. Mi volto e lo vedo. Giro per la casa e lo vedo. Fra noi c’era un legame fortissimo. Fin da bambino mi aveva trasmesso la sua passione per la montagna. Abbiamo scalato insieme per quarant’anni. Sento ancora la sua mano che stringe la mia e mi solleva, mi aiuta nella salita. Mi chiedo quali sono stati i suoi pensieri, soprattutto nelle ultime ore. Se ha cercato noi figli e in ospedale gli abbiano detto che non era possibile incontrarsi. Ancora oggi fatico ad elaborare la sua perdita. Vorrei sapere come è morto. E spero che sia davvero sepolto lì, in quella tomba che ho trovato anonima, senza indicazioni".