
L'emessa è stata emessa dalla Corte d'Assise di Bergamo
Bergamo, 20 febbraio 2025 – Condannato a 10 anni per abusi sulla figlia da quando lei aveva cinque anni e mezzo fino a 12 anni. Imputato un cinquantanovenne residente in un paese dell’Isola Bergamasca. La sentenza di primo grado è arrivata dopo una lunga camera di consiglio che ha impegnato i giudici della Corte d’assise (presidente Ingrascì, a latere Palermo). Disposta anche una provvisionale di 50mila euro per la figlia e 5mila per la moglie. La vicenda risale al 2023, quando la ragazzina ha raccontato prima a un’amica e poi alla madre, delle presunte violenze subite per anni dal padre col quale, inizialmente restò, a vivere dopo la separazione dei genitori avvenuta un anno prima che la vicenda degli abusi emergesse.
La richiesta del pm
L’imputato ha sempre negato gli abusi, così come di aver inviato alla figlia un messaggio del luglio 2022 in cui avrebbe scritto: “Se tornassi indietro, piuttosto che fare quelle cose mi toglierei la vita”. Messaggio che, come emerso da perizia, arrivava dal suo telefono. Le richieste delle parti sono state al centro dell’udienza di ieri mattina. Il pm Guido Schininà aveva chiesto la condanna a 14 anni per l’uomo, parlando di rapporti che – davanti agli esterni – erano tra un padre e una figlia, ma che da soli erano come tra fidanzati, con la piccola “plasmata” come se fosse la sua partner. L’accusa ha rimarcato come la ragazzina volesse bene al padre, evidenziando che le accuse mossegli non sono una conseguenza del fatto che lui le avesse “tagliato la paghetta”, ma che questo accadde dopo che lei parlò. Così come ha definito “falso” che lei abbia cercato di supportare la madre nel processo di separazione, ma di portare fuori una verità sottotraccia.
"Modalità manipolatorie”
L’avvocato Giannì, di parte civile (si sono costituite sia la ragazzina che la madre) ha parlato una “particolare modalità manipolatoria” dell’uomo verso la figlia. E che le conseguenze di quanto subito perdurano e “sono profonde e dolorose”. Ha concluso chiedendo anche un risarcimento danni di un milione di euro per le parti civili. Gli avvocati della difesa, Pelizzari e Carsana, nel chiedere l’assoluzione perché il fatto non sussiste, hanno rimarcato che “se un imputato non è in grado di fornire giustificazioni contro determinate accuse, non vuol dire che sia colpevole”.
In primo piano, il fatto che la ragazzina fosse seguita dai servizi (per la situazione tra i genitori) e sebbene “sottoposta a lungo a colloqui con professionisti, nessuno ebbe il sentore” che avesse subito quanto lei ha poi dichiarato. Mentre “la rivelazione nasce anni dopo” la fine degli abusi”, quando il padre ebbe difficoltà economiche e le tagliò la paghetta”.