Unità materne e robot umani: il mondo di Viola Di Grado

Viola Di Grado sale su «La Nave di Teseo», per pubblicare il terzo romanzo, "Bambini di ferro" di ANNA MANGIAROTTI

Viola Di Grado è al suo terzo libro. Pubblica con “La nave di Teseo”

Viola Di Grado è al suo terzo libro. Pubblica con “La nave di Teseo”

Milano, 24 aprile 2016 - Viola Di Grado, figlia della fertile Sicilia e di genitori letterati, già a 23 anni artefice di una scrittura di levigatissima modernità, tradotta in 8 Paesi. Ora, a 29 anni, sale su «La Nave di Teseo», casa editrice capitanata da Elisabetta Sgarbi, per pubblicare il terzo romanzo, «Bambini di ferro». Sconvolgente delicatezza, seppur fantasiosamente dark (come le sue labbra). E riafferma l’inclinazione per il pensiero orientale.

Non le basta proprio la filosofia dell’Occidente pagano e cristiano?

«No. Ho sempre sentito di non appartenere a questa cultura. E di dovere cercare risposte altrove».

Nell’ultimo racconto, la ricerca della madre. Come si svolge?

«Nel Giappone di un’era imprecisata, la piccola Sumiko rimane orfana. Non intende parlare, mangiare, interagire con niente e nessuno. Accolta in un istituto, è affidata all’assistente Yuki. La quale, 25 anni prima, a sua volta privata dei genitori, era stata sottoposta a un programma di accudimento di 360 Unità Materne Artificiali. Finite poi in una discarica».

Perché?

«I loro dispositivi mentali erano stati sabotati dai virus introdotti dagli hacker MAMA. Perciò il risultato erano stati “bambini di ferro», difettosi”».

Fantascienza?

«In realtà, l’utero artificiale esiste già per i pesci. E lo stanno progettando per i mammiferi. In Giappone ci sono robot che aiutano i bambini autistici. E ho visto monaci androidi accogliere i pellegrini, che al tempio non devono trovare solo il silenzio».

Favorevole alle tecnologie?

«Semmai, sono contraria all’essere umano, che le tecnologie, oltretutto, le usa male. Nel romanzo non volevo che si capisse ciò che è umano e ciò che non lo è. Umani, forse, sono più i robot».

Ma Yuki nelle ultime pagine osserva che le madri sintetiche con corredo informatico perfetto, migliore di qualsiasi corredo genetico, non avrebbero comunque potuto funzionare. Il loro amore era solo una simulazione.

«Le spiegano che l’istinto materno è solo un vantaggio evolutivo. La natura ci ha programmato così per far progredire la specie, proprio come sono programmate le Unità Materne Sintetiche. L’amore perfetto non esiste. Tutti siamo bambini di ferro, tutti siamo cavie di un errore tramandato attraverso problematiche coeve».

Tra approfondimenti su algoritmi, trasduttori piezoelettrici, memorie ram ecc.., e la sapienza buddista che spiega l’io come serie di frammenti organizzati per convenienza, il romanzo fa capire anche come nella vita reale a un certo punto le parole d’amore degenerano in insulti violenti. La conclusione della storia?

«Yuki e Sumiko, tanto frantumate, insieme riescono ad accedere a un mondo più sano, dentro una società alienata».

Ma lei, Viola, che dice di sentirsi più scrittrice che persona, dove ha incontrato bambini veri?

«A Bologna, lavoro come volontaria in un ospedale pediatrico».

di ANNA MANGIAROTTI