Lidia Macchi, nei luoghi oscuri di tossicomani e satanisti il segreto della morte

Sono iniziati gli accertamenti, nelle tre ville e sugli oltre 100 metri quadrati di terreno disboscato vicino alla scena del crimine, andranno avanti per una decina di giorni

Sopralluogo nelle zone del delitto di Lidia Macchi

Sopralluogo nelle zone del delitto di Lidia Macchi

Varese, 7 novembre 2016 - Tre ville abbandonate da decenni, frequentate in passato da tossicodipendenti e gruppi di sbandati. Tracce, tra polvere e rifiuti, di rituali satanisti compiute da mani anonime in un luogo dall’atmosfera spettrale, che potrebbe nascondere la chiave per risolvere il mistero. Trent’anni dopo l’omicidio di Lidia Macchi, massacrata con 29 coltellate, gli investigatori sono tornati nel luogo dove tutto è iniziato, la collina del Sass Pinì a Cittiglio.

La mattina del 7 gennaio 1987 un gruppo di amici trovò nel bosco la Fiat Panda della studentessa di Varese, esponente di Comunione e Liberazione, scomparsa dopo che si era recata all’ospedale del paese per fare visita a un’amica. Riverso a terra nei pressi dell’auto parcheggiata in una strada sterrata, coperto da un cartone, il cadavere della ragazza. Nonostante lo scorrere degli anni, il luogo non ha subito grossi mutamenti. Sentieri che si inoltrano nella boscaglia, fino alla strada provinciale costruita anni dopo il delitto e alle tre ville, disabitate anche nel 1987, con gli ingressi murati dai proprietari proprio per impedire l’accesso a estranei. Dagli edifici abbandonati, posti sotto sequestro, sono partiti i rilievi disposti dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, che ha riaperto le indagini sul cold case sfociate, lo scorso gennaio, nell’arresto di Stefano Binda, accusato di aver violentato e ucciso Lidia Macchi, sua ex compagna di liceo. I genieri dell’Esercito, alla presenza dei proprietari, hanno abbattuto il muro di mattoni che chiudeva l’ingresso della prima villa. Un luogo in stato di totale abbandono, con tracce del passaggio di tossicodipendenti e senzatetto in cerca di un rifugio, dove anni fa si sarebbero anche consumati rituali satanisti e messe nere. Sono iniziati quindi gli accertamenti, nelle tre ville e sugli oltre 100 metri quadrati di terreno disboscato in prossimità della scena del crimine, che andranno avanti per una decina di giorni. Gli investigatori stanno cercando l’arma del delitto, un coltello dalla lama lunga circa dieci centimetri mai ritrovato, gli occhiali e un orecchino che Lidia indossava al momento della scomparsa. Un lavoro complesso, per il tempo trascorso e anche perché il Sass Pinì è stato utilizzato per anni come discarica a cielo aperto. Si cercano tracce che, a distanza di tanti anni, potrebbero documentare il passaggio di Stefano Binda, ricostruendo la sequenza di un delitto avvenuto di sera o in piena notte che ha ancora molti punti oscuri.