Lidia Macchi, lo scenario dell’omicidio: tre case disabitate oggi come allora

Riaperte e setacciate dai Ris: lì potrebbe essere rimasta in balia del carnefice

Il sopralluogo del pm sul luogo dell’omicidio di Lidia Macchi

Il sopralluogo del pm sul luogo dell’omicidio di Lidia Macchi

Varese, 6 novembre 2016 - A cosa hanno assistito i boschi del Sass Pinì, a Cittiglio, la sera del 5 gennaio 1987? E quelle tre case che oggi vengono passate al setaccio, disabitate come lo erano trent’anni fa, hanno visto e soprattutto “ospitato” qualcosa o qualcuno? Lidia Macchi e il suo assassino. Nella richiesta di custodia cautelare che ha portato in carcere Stefano Binda, amico e compagno di liceo della ragazza e come lei militante di Comunione e Liberazione, il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda scrive che «non è comunque disconoscibile che Lidia abbia trascorso almeno due ore, prima dell’omicidio, in compagnia del suo assassino, verosimilmente rimanendo nei dintorni della zona boschiva adiacente all’ospedale (di Cittiglio, ndr)».

Due ore in balia dell’assassino. Un assassino che forse trascorre l’intera notte accanto alla vittima o che torna sul posto in mattinata. Due testimoni transitano nella zona prima che Lidia venga ritrovata. Nessuno dei due nota il corpo che l’assassino ha avuto cura di coprire con dei cartoni.

Silvana Franchi, 53 anni all’epoca, di Cittiglio, si presenta in Procura a Varese il 13 gennaio 1987. La sera del 5 ha cenato in un ristorante di Travedona Monate con alcuni parenti. Si è poi fermata dalla madre a Caravate. Sono ripartiti attorno alle 22.30 percorrendo la strada che da Caravate, costeggiando il cementifico Rusconi, porta a Cittiglio. «Subito dopo il cementificio - dichiara al pm Agostino Abate -, nei pressi di una casa che sembra disabitata, posta sulla destra, di fronte, sul lato sinistro, abbiamo visto una macchina piccola, con le luci accese, forse con su attaccati i portasci. Non abbiamo notato né il colore né se vi erano persone a bordo». “Le luci accese”. Il particolare è importante. Quando, verso le 10.30 del 7 gennaio, la Panda di Lidia viene trovata e riconosciuta da tre suoi amici, impegnati nelle ricerche, i fari sono sì in posizione di accensione ma con il quadro spento. Quindi, la sera del 5 gennaio, al passaggio della testimone, Lidia è ancora viva e non si trova all’interno della vettura , oppure è già stata uccisa e l’assassino è ancora lì, nelle vicinanze, e non ha ancora provveduto a spegnere il quadro.

Il 6 gennaio Altorige Senigaglia, pensionato di Caravate, al tempo sessantenne, passa per due volte a piedi vicino alla Panda, rimasta dov’era la sera prima, scruta all’interno, vede un sedile sporco di sangue. A qualche metro sorprende una figura maschile che subito si dilegua: uno dei tossici che frequentano la zona o il carnefice di Lidia Macchi? Viene preso a verbale il 13 gennaio dai carabinieri di Laveno Mombello. Il primo avvistamento alle 9. «Ho notato un’autovettura di colore verde chiaro ferma al centro della strada ... mi sono fermato a guardare e per prima cosa ho notato all’interno dell’abitacolo il sedile destro che era sporco di sangue. Ho guardato intorno all’autovettura ferma, e ho notato solo la presenza in detto luogo dei cartoni a forma rettangolare. Detti cartoni erano adagiati sul lato anteriore dell’autovettura a terra». «Ho notato a circa 5 o 6 metri dopo l’autovettura un giovane che di corsa si immetteva nel sentiero e si dava alla fuga... aveva indosso un giubbotto di pelle di colore nero, dell’altezza di metri 1,70 circa e aveva i capelli lunghi neri lisci... si allontanava dal luogo portandosi nel sentiero che conduce nelle ville abbandonate... Non ho preso il numero di targa dell’autovettura e non ho dato alcun allarme alla vista del sangue sul sedile, poiché essendo zona di drogati e avendo in precedenza litigato con alcuni di essi ho tenuto il tutto per conto mio».

L’uomo ripassa verso le 15 per raccogliere legna. Ritrova l’auto nella stessa posizione. Rivede il sedile insanguinato. Neppure questa volta si accorge della persona a terra.