Ebola, nessun allarme in Brianza: "Ma attenzione a Tubercolosi e Malaria"

La Brianza non deve avere paura del virus ebola. La possibilità di contagio è molto remota e le strutture sono pronte ad ogni evenienza di Marco Galvani

Ebola, controlli in Nigeria (Ap)

Ebola, controlli in Nigeria (Ap)

di Marco Galvani

Monza, 9 agosto 2014 - «A Monza e in generale in Italia non c’è alcun allarme ebola». Andrea Gori lo conferma con scientifica e consapevole certezza. Il direttore del reparto Malattie infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza vuole tranquillizzare la popolazione preoccupata da possibili contagi anche nel nostro Paese. «Ogni giorno in ospedale e qui in reparto riceviamo decine di telefonate di persone che ci chiedono quali rischi si corrono, come ci si deve comportare e quali precauzioni devono essere prese - spiega Gori -. Innanzitutto occorre ribadire che l’infezione è in Africa e lì rimane. I casi in America e in Spagna si riferiscono a pazienti che si sono ammalati nei luoghi dell’epicentro della malattia e che sono stati fatti rientrare in patria per essere curati». Qui, insomma, «non c’è alcun pericolo». E Gori lo spiega nel dettaglio. «I tempi di incubazione sono molto veloci, mediamente un paio di giorni, e quindi non è possibile che una persona contagiata riesca a raggiungere l’Italia in vita - dice -. E poi le modalità di trasmissione del virus sono complicate, visto che si trasmette attraverso il contatto di fluidi corporei o sangue e non per via aerea, cosa che sarebbe molto più pericolosa». «Riconosco che parlare di ebola mette in allarme, considerata l’elevata percentuale di mortalità (circa il 90%), ma se da un lato è umanamente comprensibile dall’altro gli italiani devono stare tranquilli perché non c’è rischio di diffusione dell’infezione e perché c’è comunque una rete di servizi di assistenza all’avanguardia». Tanto che il San Gerardo ha già attivato un canale di comunicazione con l’ospedale Sacco di Milano, individuato come punto di riferimento in caso di epidemia. E poi la Regione sta provvedendo a definire protocolli di interventi e « anche noi abbiamo tutta una serie di procedure interne che abbiamo tirato fuori dai cassetti». Questa è la dimostrazione che “al problema ci stiamo pensando e che siamo pronti a fronteggiare qualsiasi situazione». Non ce ne sarà bisogno, però, perché il pericolo non arriva nemmeno dai barconi che quotidianamente traghettano centinaia di profughi dall’Africa. Altra questione, invece, per altri tipi di malattie legate all’immigrazione, ma che hanno una pericolosità minore trattati dal reparto Infettivi che ha a disposizione 32 posti letto. «Mediamente registriamo un’ottantina di nuovi casi di tubercolosi all’anno, di cui il 70% legati appunto agli immigrati - precisa Gori -. Sono invece limitati a una decina i casi di malaria che trattiamo in un anno».

marco.galvani@ilgiorno.net