Processo Lidia Macchi, ricorre anche la Procura: vuole l'aggravante per Binda

Nonostante abbia già ottenuto l'ergastolo, l'accusa chiede che in Appello vengano riconosciuti i motivi abietti e futili

L’imputato Stefano Binda

L’imputato Stefano Binda

Varese, 10 ottobre 2018 - Anche la Procura generale di Milano, oltre alla difesa, ha depositato un ricorso nel processo di secondo grado a carico di Stefano Binda, 50 anni, condannato lo scorso aprile dalla Corte d'Assise di Varese all'ergastolo per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa trovata uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987 in un bosco a Cittiglio, nel Varesotto.

Il sostituto pg Gemma Gualdi, che ha comunque già ottenuto il massimo della pena per l'imputato, chiede, infatti, che venga riconosciuta dai giudici d'appello anche l'aggravante dei motivi abietti e futili, che era caduta in primo grado. Il processo di secondo grado, nel quale i familiari di Lidia sono parti civili, rappresentati dal legale Daniele Pizzi, si svolgerà a Milano davanti alla Corte d'Assise d'appello (l'udienza deve essere ancora fissata). Binda si è sempre proclamato innocente, raccontando che nei giorni in cui Lidia venne uccisa era in vacanza con altri appartenenti a Comunione e Liberazione a Pragelato, in Piemonte. Tra gli elementi che hanno fatto riaprire il 'cold case' e hanno portato alla condanna, però, c'è anche una consulenza grafologica dalla quale risultò che Binda era stato l'autore della poesia 'In morte di un'amica' che venne inviata ai genitori della ragazza alcuni giorni dopo il ritrovamento del corpo