Protocollo Cazzaniga, i pm duri: "Undici vittime in corsia, ergastolo"

Le altre misure chieste: isolamento diurno per tre anni e interdizione dai pubblici uffici

Leonardo Cazzaniga

Leonardo Cazzaniga

Busto Arsizio (Varese), 29 novembre 2019 - La parola “ergastolo” cala nell’aula della Corte d’Assise di Busto Arsizio quando sono quasi le sei del pomeriggio. È la voce del procuratore Gian Luigi Fontana, che con il pm Maria Cristina Ria, ha portato avanti la requisitoria nel processo a Leonardo Cazzaniga. L’ex aiuto primario del pronto soccorso di Saronno è imputato degli omicidi di dodici pazienti in corsia e di quelli di tre familiari (il marito Massimo Guerra, la madre Maria Rita Clerici, il suocero Luciano Guerra) della sua amante di un tempo, l’infermiera Laura Taroni. L’accusa chiede il carcere a vita per tutti questi morti tranne per il caso di uno dei pazienti, Antonino Isgrò, per il quale la perizia “super partes non ha ravvisato un chiaro nesso causale fra la somministrazione di farmaci in sovradosaggio (il “protocollo” Cazzaniga) e il decesso: per questo il medico deve essere assolto perché il fatto non sussiste. Per i pubblici ministeri Cazzaniga va condannato anche per lesioni ai danni di Massimo Guerra. 

Chiesti l’isolamento diurno per tre anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Richieste le condanna per omessa denuncia e favoreggiamento personale (con l’eccezione del caso Isgrò) per i componenti della commissione nominata per verificare l’operato di Cazzaniga: quattro anni di reclusione e 250 euro di multa per Roberto Cosentina, che come direttore sanitario dell’azienda ospedaliera promosse la commissione; Paolo Valentini, coordinatore della commissione; Maria Luisa Pennuto, responsabile della medicina legale; quattro anni e 500 euro di multa per Nicola Scoppetta, dirigente del pronto soccorso e superiore diretto di Cazzaniga. Per tutti è stata chiesta l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Infine i pubblici ministeri hanno chiesto una multa di 1.548 euro per l’oncologo Giuseppe Di Lucca per il ricovero del paziente Angelo Lauria. La ricostruzione delle morti di Massimo Guerra e Maria Rita Clerici occupa la terza e ultima giornata di requisitoria.

La voce del procuratore Fontana, solitamente pacata, si fa vibrante d’indignazione quando rievoca le contraffazione delle analisi al pronto soccorso per convincere il marito della Taroni di essere malato di diabete e dunque della necessità di assumere farmaci. «Abbiamo le prove di una alterazione del sangue in ospedale con una dottoressa che dice: ‘Tanto l’ospedale ne uscirà pulito’». «Il fine ultimo - dice il pm Ria - era quello di ridurre la libido di Guerra per via delle pratiche a cui sottoponeva la moglie -, ma Cazzaniga e la Taroni, infermiera e medico, erano consapevoli delle conseguenze fino alla morte». Diverso il “grado” di colpevolezza per la morte di Maria Rita Clerci. La madre della Taroni è una donna ancora giovane (61 anni), in buona salute fino al 4 gennaio 2014, quando accusa un tracollo. Non gradisce Cazzaniga. Qualche giorno prima il medico preleva farmaci dal pronto soccorso, mentre la Taroni si mostra preoccupata per inesistenti malattie di quella madre che odia. Nell’ultimo giorno di vita di Maria Rita, secondo l’accusa, il comportamento della coppia è contraddistinto da «totale inerzia, nessuna volontà di soccorso. Le manovra rianimatorie iniziano solo quando il respiro si arresta e al personale del 118 è impedito di sostituirsi alla Taroni per proseguirle. Una farsa».