Caso Uva, "il fatto non sussiste": tutti assolti dopo dieci anni

Varese, la sentenza d’appello conferma che i due carabinieri e i sei poliziotti non provocarono la morte dell’uomo

La sorella di Uva stringe la mano a uno degli imputati

La sorella di Uva stringe la mano a uno degli imputati

Milano, 1 giugno 2018 - Assolti anche in Appello i due carabinieri e i sei poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, imputati per la morte di Giuseppe Uva. Che, anche secondo i giudici di secondo grado, non fu picchiato dopo essere stato fermato e identificato con l’amico Alberto Biggiogero mentre spostava alcune transenne. Il decesso, avvenuto il 14 giugno 2008 all’ospedale di Circolo, dove era stato ricoverato in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio dopo aver trascorso parte della notte nella caserma dei carabinieri, fu dovuto a una malformazione cardiaca di cui l’ex gruista non era a conoscenza mixata alle sue condizioni di salute, fiaccate dall’alcol assunto durante la giornata.

L’accusa aveva chiesto condanne comprese tra i 10 e i 13 anni per gli imputati: i carabinieri Paolo Righetto e Stefano Dal Bosco e gli agenti Gioacchino Rubino, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci (a lui ha voluto stringere la mano “per sfida” la sorella di Giuseppe, Lucia, dopo la lettura della sentenza), Francesco Barone Focarelli, Bruno Belisario e Vito Capuano. La Corte d’Appello d’Assise nell’assolvere gli imputati ha ulteriormente migliorato la sentenza di primo grado. «In primo grado, come in Appello, i nostri assisti furono assolti perché il fatto non sussiste dall’accusa di omicidio preterintenzionale - ha spiegato ieri Luca Marsico, a capo del collegio difensivo che contava anche Ignazio La Russa -. In primo grado, però, gli imputati furono assolti dall’accusa di sequestro di persona perché il fatto non costituisce reato. In Appello l’assoluzione per questo addebito è stato ancora più piena: l’assoluzione è arrivata perché il fatto non sussiste. Questo vuol dire che secondo la Corte i nostri assistiti non hanno pensato di agire nell’alveo del loro dovere, ma hanno agito secondo la legge». La procura generale dovrebbe, comunque, ricorrere in Cassazione.

«Lucia (Uva, la sorella di Giuseppe) dice saggiamente che noi abbiamo vinto quando la procura generale ha chiesto la condanna, vuol dire che un organo dell’accusa ha creduto nella nostra tesi», afferma Fabio Ambrosetti, legale di parte civile col collega varesino Alberto Zanzi. «Da giurista, ma anche da cittadino, sono molto deluso per l’assoluzione dal reato di sequestro di persona, o arresto illegale che fosse, perché non c’erano i presupposti: non si capisce in base a quale criterio Giuseppe Uva sia stato trattenuto quella sera in caserma», ha aggiunto Ambrosetti, promettendo il ricorso in Cassazione. Ora si attende la lettura delle motivazioni della sentenza entro 90 giorni. Dopo la lettura della sentenza, Angela, la nipote di Giuseppe, che indossava una t-shirt con il volto dello zio, ha inveito contro gli avvocati degli imputati. Più pacata Lucia Uva che, stretta la mano a uno degli imputati, ha voluto ringraziare il sostituto procuratore generale Massimo Gaballo: «Per la prima volta abbiamo avuto un magistrato dalla nostra parte. E questa è una cosa importante».