ROSELLA FORMENTI
Cronaca

Alberto Grampa e la storia: "Vi racconto l’Armata ritrovata"

Ricostruite le vicende dei 75mila soldati ceco-slovacchi prigionieri del campo di internamento di Busto Arsizio

Alberto Grampa appassionato di storia

Busto Arsizio (Varese), 21 ottobre 2018 - Dal 4 novembre, nella ricorrenza del centenario della fine della Prima guerra mondiale, i nomi di 24 militari ceco-slovacchi, morti a Busto Arsizio, saranno ricordati al Tempio Civico di Sant’Anna, la piccola chiesa che custodisce la memoria di tutti i Caduti, centro di educazione permanente alla pace. Una storia dimenticata, recuperata grazie al meticoloso lavoro di ricerca e alla passione di Alberto Grampa che ha raccontato le vicende dei soldati ceco-slovacchi, circa 75mila, transitati nel campo di internamento di Busto Arsizio, tra la fine del 1918 e i primi mesi del 1920, prigionieri dopo la fine della Prima guerra Mondiale. Soldati che poi furono smistati nei vari comuni del Varesotto, fino al loro rimpatrio. Il risultato della ricerca è “L’armata ritrovata - Presenza dei militari ceco-slovacchi a Busto Arsizio e in provincia di Varese”, pubblicato dalla Famiglia Bustocca.

Come si è imbattuto in questa storia?

“ Da anni mi occupo di storia dell’aeronautica, questa passione mi ha portato ad incontrare quelle vicende. Il campo di internamento dove transitarono in quasi 75 mila era infatti il vecchio campo dell’aviazione di Busto Arsizio, poi c’era una testimonianza trasmessa oralmente da mio padre e da mia madre, ai quali era arrivata dai loro genitori, riguardante appunto i ceco-slovacchi a Busto. Una storia che mi incuriosiva così ho cominciato il lavoro di ricerca che è durato alcuni anni, non è stato semplice, perché era pochissima la documentazione. Da parte mia sono soddisfatto del risultato, ho evitato che l’oblio inghiottisse del tutto quelle vicende e mi auguro che il mio lavoro possa offrire lo spunto ad altri per approfondire”.

Come fu il rapporto della gente con i militari internati?

“Non ci furono problemi, la guerra era finita, non ci furono atteggiamenti ostili. E’ importante però sapere che decine di migliaia di questi soldati, addestrati qui, furono inquadrati in vari battaglioni, come riporto nel mio libro, poi, tornati in Patria, combatterono per l’indipendenza del loro Paese, quindi non furono più considerati prigionieri, la loro condizione era cambiata, si resero anche utili, aiutarono le nostre popolazioni”.

In che modo?

Nei lavori dei campi, c’era bisogno di manodopera perché tanti nostri soldati erano tornati feriti o mutilati. Organizzarono anche serate musicali, esibizioni ginniche, momenti di intrattenimento per raccogliere fondi per l’assistenza dei reduci, delle famiglie, degli orfani e delle vedove dei caduti. La presenza dei militari si concluse ufficialmente il 10 gennaio 1920, con la chiusura del campo di Busto Arsizio, il più grande in Italia. Il rapporto con il nostro territorio continuò per diversi anni, arrivavano lettere e cartoline alle famiglie che avevano conosciuto, per le quali conservavano un ricordo riconoscente”.

Che cosa ci insegna questa vicenda storica che lei ha recuperato?

“Ci insegna che questa terra, pur vivendo un periodo di privazioni a causa della guerra, non ha chiuso le porte ma ha accolto e aiutato questi prigionieri, uomini provati dal conflitto e lontani dalle loro case, dalle loro famiglie e qui hanno ricevuto un primo, importante aiuto, un primo passo verso il reinserimento nella vita di tutti i giorni”.