
La denuncia di due genitori milanesi: "Nostro figlio umiliato dal mister e bullizzato dai compagni. Affermazioni offensive che hanno provocato un gravissimo e destabilizzante disagio emotivo".
Rabbia, delusione, disagio. E una gran voglia di giustizia. C’è tutto questo e altro ancora nella lettera inviataci da un papà e da una mamma di un ragazzino milanese di 11 anni. Davide (nome di fantasia) aveva il sogno di tanti coetanei, giocare e inseguire un pallone che rotola. Ma poche settimane fa gli è stato ufficializzato il “taglio“ di fatto già annunciato in primavera con frasi a dir poco vessatorie del mister-educatore. "Sei lento e scarso. Devi capire, non sei all’altezza dei tuoi compagni. Non puoi restare qui, devi trovarti un’altra squadra". Sia chiaro, non è la prima volta (e purtroppo non sarà neppure l’ultima) che una situazione sgradevole del genere si ripete, ma in questa circostanza il finale è diverso. Turbolento. E ancora tutto da scrivere: perché i genitori del baby-giocatore hanno deciso di sporgere denuncia nei confronti della società portandola in tribunale. Il motivo? Non la bocciatura dell’atleta in quanto tale, ma le conseguenze che la decisione (anche per le discutibili modalità) ha causato, ovvero "un gravissimo e destabilizzante disagio emotivo che ha portato ad un forte senso di frustrazione".
Perché quegli aggettivi offensivi pronunciati uno dopo l’altro ("sei lento", "sei sovrappeso", "sei scarso", "sei inutile") alla fine sono diventati pesanti come macigni. Discriminazione che ha provocato sofferenza e un malessere interiore difficile da sopportare. La storia è andata avanti per mesi: prima i silenzi di Davide dopo gli allenamenti, poi il senso di smarrimento e delusione, la perdita della passione e soprattutto del sorriso. Infine il desiderio di restare a casa, di non entrare più in quello spogliatoio dove persino i compagni di squadra, coetanei, lo deridevano. Fra le risate di tutti, allenatore-educatore compreso. Una situazione devastante dal punto di vista psicologico e che ha costretto i genitori ad intervenire a tutela del loro figlio. "Non è possibile che un bambino sia trattato in questa maniera, negandogli il diritto di praticare sport. Per questo ci siamo rivolti ad un avvocato e di comune accordo abbiamo deciso di inviare una lettera ai dirigenti della scuola calcio, raccontando ciò che loro ben sanno. E dei danni che il loro assurdo comportamento ha causato su nostro figlio", dicono papà e mamma, decisi ad andare sino in fondo.
Nella missiva di denuncia c’è il resoconto degli ultimi mesi infernali di Davide: "Dopo l’inizio della stagione senza particolari episodi, in cui nostro figlio si era adattato al nuovo ambiente, è cambiato tutto. Il ragazzo è stato progressivamente discriminato dall’allenatore, che lo escludeva sia dalle partitelle d’allenamento che dalle sfide nel weekend, in alcuni casi non convocandolo neppure. Gli venivano imputati peso eccessivo e statura fisica inadeguata, ma ci è sempre stato detto che a quell’età conta ben altro. Una condotta spregevole del mister che ha innescato pesanti conseguenze, perché nostro figlio è stato preso di mira anche dai compagni di squadra nello spogliatoio. Scherzi e veri e propri atti di bullismo nello spogliatoio, senza che nessun dirigente intervenisse. Quando ha provato a ribellarsi gli hanno buttato i vestiti nella doccia, ridendo e dicendogli “Sei proprio scarso“".
I genitori di Davide dopo aver visto il piccolo rientrare a casa con forte disagio emotivo ("Piangeva, era nervoso e si chiudeva in se stesso, capiva di essere stato emarginato") hanno deciso di affrontare la situazione: "Ci sembrava logico chiedere un colloquio con i dirigenti della società, perché si tutelasse nostro figlio umiliato da atteggiamenti provocatori e discriminatori del “mister“. Ci rassicurarono e che tutto sarebbe cambiato, in realtà le cose sono peggiorate, perché il “mister“ si è incattivito e ha continuato a prenderlo di mira, abusando ancor di più dei suoi poteri. Una volta in allenamento dopo un passaggio impreciso l’allenatore urlò: “Come pretendi che ti convochi e ti faccia giocare?“. Dopo quel rimprovero mio figlio ha smesso. Non poteva più restare lì". La parola passerà al giudice del Tribunale dei Minori. Nel frattempo già chiesto il risarcimento (per inadempimento) della quota d’iscrizione, circa 600 euro.
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