
Diego Nepi Molineris, classe 1971 amministratore delegato di Sport e Salute
"Ho letto con interesse la vostra recente inchiesta-denuncia per quel che riguarda il calcio giovanile, la cosa mi ha colpito perché anche noi stiamo lavorando sul concetto dell’abbandono dello sport, un fenomeno purtroppo diffuso e che riguarda ragazzi di età compresa fra i 12 e i 14 anni. Ben tre su quattro lasciano a quell’età...". . A parlare è Diego Nepi Molineris, amministratore delegato di Sport e Salute Spa, la cui missione include la valorizzazione dello sport di base, l’incremento della pratica sportiva e il suo ruolo educativo e di integrazione sociale.
Cosa ha suscitato la sua attenzione in particolare?
"Portare alla luce e far conoscere queste situazioni è atipico. Di solito ci si ferma ai gol segnati e ai talenti che abbiamo, invece è importante mettere al centro di tutto lo sport e creare valori, soprattutto in riferimento ai giovani. Se ne parliamo vuol dire che ci sono situazioni in cui ciò non avviene, mentre i ragazzi devono sentirsi liberi di giocare".
Questo è il vostro obiettivo primario...
"Certo, perché l’aspetto agonistico viene dopo. Noi vogliamo sconfiggere l’abbbandono dello sport. E per questo occorre che istruttori e tecnici sappiano di cosa si occupano. L’essere “tagliato“ non è certo un valore, perché Sport e Salute fa investimenti per includere tutti, perché lo sport è il farmaco migliore per la prevenzione, dal punto di vista fisico e mentale".
Sotto questo aspetto l’attività di base è fondamentale...
"Proprio così, e questo vuol dire avere la possibilità di essere inclusivi, far praticare attività ludica e motoria. Le vecchie generazioni sono state salvate dagli oratori, oggi ce ne sono di meno ed è più difficile far aggregare i ragazzi. Quando ti senti poco coinvolto il rischio è proprio mollare tutto in età precoce".
Senza dimenticare che il disagio dei ragazzi si ripercuote spesso sulle famiglie...
"Vero, per questo mi rivolgo a tutti, cercando di spiegare quanto lo sport sia un bene trasversale. Vedere il proprio figlio praticare una disciplina e divertirsi è formazione del ragazzo, bisogna includere e non escludere. Poi c’è il dolore del figlio che si trasmette anche nel genitore..."
Sport e Salute come può intervenire in maniera concreta?
"Aiutando tutti. Il discorso fatto vale per gli atleti più piccoli ma pure per gli over 65. Vogliamo impianti in grado di ospitare giovani e anziani, mentre oggi le città spesso sono palestre a cielo aperto. Di qui il progetto “Sport Illumina“: un finanziamento di oltre 30 milioni e una risposta concreta alla necessità di restituire ai cittadini luoghi di aggregazione autentici, accessibili e sicuri. Mancano impianti? Sì, vero, dobbiamo costruirli, ogni 1000 abitanti, per dare la possibilità a tutti di fare sport".
Questo è un primo passo...
"Poi serve il “capitale“ umano, ovvero la formazione dei tecnici. Creare una squadra e far stare bene insieme tutti, evitando il concetto di individualità".
Così si può cambiare il concetto di “cultura“ sportiva?
"Faccio un discorso generale: quattro anni fa si pensava alle medaglie, ora al valore “sociale“. Oggi si guarda una partita e si cerca di rivivere certe emiozioni che non solo il calcio ti dà. E ci si immedesima in certi eroi moderni cercando di prendere le cose più belle. Però poi devi trovarti un campo da tennis, non ci si puo permettere 1300 euro di un circolo sportivo... Dico questo perché altrimenti non si sfruttano certe ondate positive. Prima ci mettevano 9 anni per un impianto sportivo, oggi 18 mesi. Prendete Caivano, adesso 300 vbambini fra gli 8 e i 12 anni possono fare sport".
Cosa guardano i giovani quando cercano dei modelli?
"Le vittorie certamente. Ma osservano i loro idoli anche nelle sconfitte. E poi c’è la passione. Sicuramente cercano emozioni ed esperienze per raggiungere una condivisione. Il calcio resta uno sport centrale, ma stanno crescendo altre discipline, scontato citare tennis e padel".
Giulio Mola
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